Me la sono goduta stanotte. Se l'è cercata.
La cena non è che fosse così raffinata,
ma la salsiccia era di qualità nostrana,
l'insalata di campo.
Così Lei stanotte non ha avuto scampo.
L'ho presa come Lei desidera, come una puttana.
Dovevo tenere conto del fatto che era pure stanca,
poveretta, tutto il giorno a faticare.
A me non era restato, sempre con piacere, che dovermi allenare:
il tempo, la voglia e soprattutto la fantasia non mi mancano.
L'ho fatto però senza esagerare, serbando per l'amore mio tutto il seme.
La porto a letto che è tardi, stanotte nessuna Sherazade,
parla poco anche la spada, ma in compenso canta, gode e fa godere.
Ma prima sono le labbra morse e il vortice di lingue voraci e appassionate,
e la mia bocca sul suo seno, le dita a strizzare i capezzoli turgidi.
Con Lei devo essere un dolce, ma severo padrone,
per noi, spalancami bene le cosce, troia,
sublima ogni nostro atto di carne, sigilla il nostro coito animale.
Io cagna in calore, tu porco.
Assecondo queste sue sporche parole.
Inumidisco con la lingua i miei polpastrelli:
la prima carezza osata, sul fiore, ha da essere soave e delicata,
scivolosa e lieve. Lei non deve fare altro che lasciarsi andare,
sciogliere le membra, lasciare che ogni pensiero vada per la sua strada.
Io tengo a bada la spada, ché ho il cazzo duro e insistente,
ma stanotte deve aspettare.
Chiudi gli occhi amore mio, non pensare a niente.
Ogni carezza si fa di volta in volta più impudente e bagnata.
Il clitoride osceno come il cazzo, è fuori, dritto, eccitato.
So che non ama se non qualche lieve tocco diretto,
preferisce essere preso di lato.
Ma la mia mano è una quinta colonna, fa il doppio gioco,
lavora pure per la mia solenne e ieratica nerchia.
Lo so, può apparire una definizione bizzarra, soperchia,
ma tale è, in certi frangenti, nei suoi intimi tratti, l'atroce spada.
La mia lingua schiude ancora la sua bocca,
le mie dita si lavorano la figa, vada come vada.
Il fiore è ora aperto, lussureggiante di umori tropicali,
nel calice vorace insinuo a fondo,
lietamente godendo ogni istante, due lunghe dita.
Subito escono, deve desiderarlo, bramarlo, d'essere chiavata.
La figa di Lei, dovete sapere, è una vera peste.
Prima di tutto adora essere venerata, adulata,
sa di essere la figa di Gemma, ma pure di Beatrice.
La figa di una troia, aperta come un cagna, vacca da monta,
dico a Lei, che geme, mugola, gode.
Immagino, sbagliando, voglia ora andare al sodo,
che salga in cattedra il primo della classe, Franti.
Ma ho anche voglia di mangiarmelo quel fiore tropicale,
e di leccarle il culo, un vero capolavoro.
Ho voluto così santificarmi col suo nettare,
abbeverarmi alla sorgente di vita,
leccare fino a sfinirla, come fossi il suo cane,
quell'oscena, slabbrata ferita.
Alterno, per la femminilità che c'è in me,
lunghe leccate alla figa e al culo divino,
a pompini che pratico ai suoi bianchi, piccolo piedi,
mi delizio a ciucciarle l'alluce, mentre la mia mano
ha preso il posto della bocca e presidia la fonte.
Con Lei che gode mi sento come il visconte,
in una sordida tresca d'amorosi sensi.
A cosa pensi, le chiedo, sentendo l'intensità del suo piacere.
A quanto mi fai godere, baciamela, mangiamela.
La mangi senza consumarla mai la mela del peccato.
Lei afferra i miei capelli, mi spinge la testa, mi lascia senza fiato.
Detta il ritmo, con la mia bocca fa festa,
spinge a fondo, dove più le brucia, la mia testa bacata.
Gaudente, non arretra davanti a niente,
ora vuole la mia lingua sul clitoride, ora la preferisce più sotto,
ad aprirle quelle grandi ali rosse di farfalla,
così che il mio nasone possa masturbarle il suo cazzetto.
La lecco a fondo, mi bagno, dei suoi umori e sapori,
il viso stanotte imberbe.
Poi mi stufo, il cazzo mi tira troppo, ora tocca a lui.
Ora basta. Mi ergo e le spalanco le gambe tenendola per le caviglie.
Il terrore nei suoi occhi.
Possibile che dopo tutto questo tempo ancora non si fidi?
Ma quando calo squarcio una porta spalancata, con i cardini ben oliati.
Tutto entro, fino in fondo, ma naturalmente slouli slouli.
Lei mi accoglie con un sospiro che presto si fa gemito animale,
le dita premono, artigliano le mie capaci spalle,
io sgomento e curioso, come sempre mi accorgo che di spazio ce n'è ancora.
Così la chiavo, o si dice scopare?
E' la sua posizione preferita, che stranezza,
ma ogni donna credo ne abbia una.
Il missionario, si dice, ma il mio ha una missione speciale,
quella di fornicare, di chiavare, implacabile, quella pazza figa.
Presto, quando sento che me lo posso permettere,
tutto il peso del mio corpo lo scarico sul mio beato,
incazzato uccello, che entra ed esce con colpi potenti,
continui, sempre più ravvicinati.
Quando poi la sollevo e la prendo per i fianchi
raggiunge l'estasi di Santa Teresa
e gli occhi le si fanno bianchi.
Il fuoco acceso rischia di bruciarmi. Estraggo la spada rovente. Cola.
Infilo due, tre dita, ora se le gode tutte, ma è il cazzo che vuole. Il mio.
La faccio voltare, voglio godermi la visione del paradisiaco suo culo.
Impossibile non correre a baciarlo, saggiarlo con la punta d'un dito,
ma la vacca è pronta per la monta, sgocciola e freme,
vuole che la sbatta come un toro, più nulla teme.
Le do la giusta razione, e se io rallento, Lei non perde un colpo,
s'impadronisce della cadenza. Allora mi arresto,
tenendoglielo ben fisso dentro, lascio che sia Lei a dimenarsi
come e quanto vuole.
Troppo mi eccita questo, farmi fare un pompino con la figa bollente.
Cambio posizione, inizio a mostrare segni di cedimento.
Mi adagio su un fianco, le alzo un gamba, la penetro a forbice,
così posso baciarla e scoparla insieme.
Lei però varia subito la danza, sempre su un fianco,
ma ora mi dà le spalle.
Significa: voglio che continui a sbattermi. Forte.
Sei una puttana le dico, affamata di cazzo,
le tiro i capelli, le infilo un dito tra i denti affilati,
le mordo assetato il collo, la sbatto alla morte.
La sento mugolare di piacere, con la mano infilata tra le cosce strette,
sento la porca godersi pienamente e con gusto la sua sorca,
che vibra alla sua musica e rimbomba a ogni colpo del mio pestello.
Tenendola per i capelli, le dico: a cosa stai pensando adesso, puttana?
Lei geme e io incalzo: al viaggio che ti vuoi fare tutta sola,
prenderai il cazzo di qualche francese, eh troia?
E' sul punto di venire, Lei, manca poco.
Tra i gemiti di piacere profondissimo mi risponde:
sì, un bel francese, perché no... e magari più d'uno, che dici?
Dico che sei una gran porca, vogliosa di cazzo, di essere riempita
e sbattuta. Mentre lo dico mi masturbo e guardo Lei,
seguo i movimenti sempre più frenetici delle sue dita,
le membra candide irrigidirsi, i nervi tendersi
per la deflagrazione orgasmica, delirio e vita.
Solo ora mi richiama: presto presto, dentro, ti voglio dentro.
Entro e sbatto ancora, stavolta allo spasimo e senza remore.
In poco tempo vengo, con incontrollabili, squassanti, copiosi spruzzi
di umanissima fontana.
***
Apparato iconografico pornografico:
Una delle infinite scene di vita sessuale
presenti nei templi di Khajuraho, India,
fotografata al tramonto. Ricordo.