E la luna che sembrava una patata.
(Marianna al bivio, F. De Gregori, 1973)
Quando sono nato i vapori s'alzavano nell'ombra.
Le mie pupille arrossate vedevano giganti
ammassare pietra su pietra, immani monoliti:
i miei maggiori volevano issarsi fino al cielo.
Stirpe maledetta, nella desolazione furono atterrati,
il dio non permise che si infrangesse il mite velo.
Quel dio che imprigionò suo padre,
ma per lo meno non mandò a morire suo figlio.
Era quello il centro di un mondo ancora barbaro,
giovane e forte:
possedevano arte, potenza, gloria, pure un briciolo di sapienza.
Temuti in mezzo mondo, leggendari,
mito primigenio d'Occidente,
ridevano dei tormenti che gli venivano inflitti,
e di quelli, altrettanti atroci, che infliggevano.
Ma sapevano anche godersela.
Nella sconfitta seminarono il veleno
del nuovo Dio, copulando con donne cananee e filistee
dai lunghi e meravigliosi occhi neri.
Ma anche le egizie, le ittite, le danaidi
e tutte quelle ninfette di Troia non erano affatto male.
Ah, bei tempi. Certo si menavan le mani,
si spaccava la testa ai nemici a mascellate d'asino,
ma si estraeva anche miele colante dalle carcasse di leone.
Li perdette, a quanto si tramanda, la tracotanza.
Furono dispersi, ma serbammo in eredità
l'atavica terra meravigliosa,
restammo piccola nazione:
è già tanto aver resistito alla Storia.
Tra poco li rivedrò i giganti, miei maggiori,
su questa terra e con i miei occhi di titano.
***
Sguardo, o meglio scruto e sbircio
un culo di nero velato, sontuoso, perfetto, assoluto.
Pur essendo gaggio,
di sguincio rilancio indovinelli a scadenza,
promuovo epiche supercazzole,
metto le dita sul fuococomefosseantani.
Per come mi hai trattato,
non basta che mi dici sì,
ti devi innamorare.
Ah, la vanità maschile...
***
A proposito di supercazzole, penso ancora spesso a Francesco,
alle sue canzoni dylaniate, al suo mondo in-cantato di simboli,
a come interpretare mani di giunco e lune che sembrano patate.
Quattro porte quattro verità,
e ognuna sorrideva...
Però sono invece giorni che non mi tolgo dalla testa Antonello,
suo vecchio sodale, poi si mormorò nemico,
e ora di nuovo amico.
Quella sua infingarda, bellissima Ricordati di me.
Antonello il socialista, Francesco sempre più a sinistra.
Il primo, forse troppo sommerso, non me lo tolgo più dalla testa
in questi giorni, anche quando, accecato dal sole giaguaro,
mi tuffo nell'acqua fresca, dov'è più chiara.
E mi scivola via ogni cosa.
***
Ma veniamo finalmente alla mia pornografica, prosastica vita. Ieri s'è trombato. Di questi tempi è una piccola notizia, visto che con Lei ultimamente s'era in burrasca. Nel frattempo io ne ho approfittato per darmi con buona lena a piaceri solitari. In buona sostanza: mi sono fatto un bel po' di pippe in sti giorni. Proficue, desiderate, appaganti. Certo con l'età che c'ho, andare in giro con ste occhiaie...
Ieri si è fatto pace nei dovuti modi. E quando Lei ha raggiunto il piacere squassante, si è issata, ancora vibrante, sul mio palo eretto. (L'asso di bastoni, tanto per intenderci). Sapevo cosa voleva: una danza dissennata e potente. Un ritmo diavolo, senza soluzione di continuità, che le amplificasse l'estasi del più atroce fra i piaceri. Escluso forse quello del trapasso, ma chi può dirlo. Neppure i Titani giunsero a tale grado di conoscenza, se non con l'incubazione.
Sbam, sbam, sbam, sbam. Lei gode inesausta, geme forte. Sbam, sbam, sbam. Non resisto. Non resisto più. Non voglio più resistere. Sbam, sbam. Rapida deve saltare fuori la minchia, grondante umori, infuocata, in fuga per la vittoria. Sprizza la sua gioia furente, che si irradia sul culo e la schiena di Lei, cola a rivoli sulle mie cosce. Finché entrambi possiamo scioglierci, abbandonarci.
Sbam, sbam, sbam, sbam. Lei gode inesausta, geme forte. Sbam, sbam, sbam. Non resisto. Non resisto più. Non voglio più resistere. Sbam, sbam. Rapida deve saltare fuori la minchia, grondante umori, infuocata, in fuga per la vittoria. Sprizza la sua gioia furente, che si irradia sul culo e la schiena di Lei, cola a rivoli sulle mie cosce. Finché entrambi possiamo scioglierci, abbandonarci.
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E' stata una bella giornata, a tratti pure serena. Nel pomeriggio avevo fatto finalmente un bagno in mare di quelli strepitosi. Non un semplice tuffo o due come l'ultima volta. Ogni tanto fa bene schiodare il culo dalla sedia e il grugno dal pc. Gran caldo, aria bollente, la sabbia bruciava sotto i piedi scalzi. L'acqua, com'è detto, una delizia. Per qualche istante eterno ha cancellato tutto, anche Ricordati di me. Ho sguazzato per un po', poi mi sono guardato attorno, ho sorriso e ho aperto le braccia al paradiso. Così mi è venuto in mente questa specie di indovinello.
Invece il libro che sto leggendo ora non mi convince troppo, quest'ultimo Adelphi mi farà impazzire, era molto meglio Simenon.
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Invece il libro che sto leggendo ora non mi convince troppo, quest'ultimo Adelphi mi farà impazzire, era molto meglio Simenon.
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Niente foto sporcaccione oggi, c'amm'a fa'. Anche la spada riposa. Rimedierò presto. Magari con una nuova edizione dell'Indovinapisello.
4 commenti:
bello, come si chiama la località?
Cala Spada, marina di Comefosseantani.
Mare da invidia!
:-) Kameo
appena scoperto il tuo blog, mi piace!
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