mercoledì 12 febbraio 2014

Questa è avanguardia, pubblico di merda





Addio alle sbarbine in amore,
a quel tanto che basta per campare contento,
alla cultura che è una verdura,
ai rulli di cartoni,
ai gelati che sono buoni ma costano milioni.

Addio Roberto "Freak" Antoni.

Addio poeta.


venerdì 20 dicembre 2013

Di fiotti e spruzzi

Stanotte abbiam fatto pace.
Io e Lei.
Nel modo migliore.

Nell'unico modo migliore che esista.

La pipa indiana ben carica
ha disciolto l'ultimo velo di gelo.

Da lì in poi i brividi sono stati altri.

Niente più tuoni e lampi,
limpido e sereno il cielo.

Mi sono impossessato di Lei.
Della sua sorgente, appassionato e avido.

Come una capretta col sale,
come il mare con la spiaggia.

Alla lingua ho alternato il cazzo,
e una, due, tre dita
si sono aggiunte al sollazzo.

Implacabile sono stato fra le sue cosce.

Ho esplorato in profondità ogni sua cavità,
fuoriuscendone sempre più grondante,
lubrico, osceno e impavido.

Ingolfata di desiderio,
in Lei si gonfia, come una vela,
la voglia.

E si gonfia, spumeggiante,
la sorgente,
così potente da espellere,
come fosse un siluro,
il cazzo.

Sbattuto fuori, senza cerimonie.

Un fiotto, intenso e caldo,
ne consegue,
si sprigiona da quella fornace ardente.

A contatto con l'aria
si fa etereo, sprizza sul mio corpo,
mi bagna dalle ginocchia all'ombelico.

Epicentro, le palle,
dove si sublima in un vapore,
che rapido svanisce.

Sulla punta d'un dito
assaggio di quel nettare impalpabile,
balsamo raro.

E' dolce, inodore, trasparente,
per nulla viscoso.

Sopravissuto all'inondazione,
mi rimmergo nella sua carne fremente.

Frenetica, una sua mano
suona un ritmo indiavolato,
su quell'unico tasto.

Sarà un vizio,
ma sbatte ancora fuori dalla porta,
l'inesausto cazzo.

E' il segno del raggiunto acme.

Come un'ondata la travolge l'orgasmo,
 scuotendola da dentro,
liberando in Lei ogni energia repressa.

So che non c'è tempo da perdere,
Lei smania, lo rivuole dentro.

E lo vuole furioso.
 
Pochi colpi, ma sbattuti al calor bianco.
Poi l'eruzione, che libera anche me,
in rantoli che mi squassano da capo a piedi.

Sul suo ventre proietto il mio succo d'uomo.
Lo imbianco.

Il tempo d'un bacio a fil di labbra.

Crolliamo esausti in un sonno immemore,
profondo.

***


 I protagonisti del racconto.
 

domenica 18 agosto 2013

Le storie di Lei

Cammina sinuosa la ragazzina, risplendono su tutto ciò che la circonda i suoi occhi verdi, fiduciosi e ridenti. Il mondo le appare meraviglioso e soprattutto le appare nuovo, come fosse ancora una bimba.

Eppure ne ha passate, anche se ha solo 21 anni. Ma Lei ottimista lo è di natura. E' tante cose, di natura. Il fantomatico lettore assiduo di questa suburra lo sa bene.

(Io a quei tempi la conoscevo e non la conoscevo. Scambiavamo il saluto e mi scioglieva la dolcezza dei sui sorrisi. E quella delle sue forme).

E' appena uscita da un colloquio di lavoro e deve prendere l'autobus quando per strada incrocia il Tizio. Si sorridono agli sguardi che s'incontrano. E lui, il Tizio, è uomo che evidentemente sa cogliere le occasioni. La saluta e, come se fosse la cosa più naturale del mondo fra perfetti conosciuti, la invita a bere un caffè insieme in un bar vicino.

E Lei accetta, perché no? Verò è che a casa c'è ad aspettarla un fidanzato di lungo corso, ma è un rapporto ormai in crisi. Nato sui banchi di scuola "parecchi" anni prima. Il Tizio invece è sposato, ma questo Lei ancora non lo sa. Che poi non ha mai guardato troppo a questi particolari.

Quanto abbiano parlato sorseggiando il caffè non lo so, ma credo non ci abbiano messo molto a capire ciò che entrambi volevano reciprocamente. Finire su un lettone d'una stanza di un alberghetto lì nei pressi. Dove Lei scopre che il cazzo del Tizio è veramente grande, riguardo a dimensioni. Robusto e nerboruto. Eccitato, viene fuori ritto come un palo, come non vedesse l'ora, quando Lei scosta un lembo degli slip che a mala pena lo contenevano.

Non che il sesso andasse male col suo fidanzato, le ragioni della crisi erano dovute alla stanchezza e alla ripetitività semmai. Con lui aveva scoperto che il sesso era una cosa proprio bella e ci si era dedicata con sempre maggiore voluttà. A lui solo, a quell'unico uccello, fino ad allora aveva dato grande prova d'apertura, donandogli la bocca, la figa fresca e profumata, il culo da favola.

Certo un paio di pompini in giro, a qualcun altro li aveva pure fatti. Cose che capitano. C'era poi un amichetto che ogni tanto veniva trovarla. Lei lo trovava così simpatico e lasciava che lui la leccasse dove la sua anima era più umida. Niente più però.

Nessuno però aveva il cazzo così grande, e grosso, tra quelli che le erano stati noti, come quello che adornava l'inguine del Tizio. Ma Lei non è mai stata una che si perde d'animo. Anzi, lo considera una manna quel bel pisellone. Casca a fagiolo.

In più il Tizio non è più un imberbe fanciullo, ci sa fare con quel suo arnese extra size. Ma prima a farla sua sono le mani, grandi anch'esse. (Forse è da allora che Lei guarda quelle dei maschi con una certa curiosità).

Si appropriano, le mani del Tizio, della sua 4° misura in boccio, suggendone a fior di labbra i capezzoli eretti. Scendono su ogni angolo del suo corpo sacro, fin quando un dito ne profana il sancta sanctorum, trovando un lago interno, che ribolle. Se questo è l'inferno...

La chiava alla grande il Tizio e lei lo accoglie tutto, venendone riempita a fondo. Alla fine lui le sborra sulle tette, grandi mele mature. E poi ancora la scopa una seconda volta, e una terza, e una quarta. Sborra ancora sulla schiena, sulla pancia, ancora sulle tette. Lei può tornare a casa con piena soddisfazione di sensi.

Si rivedranno ancora per qualche altra memorabile scopata, poi mai più.

Il fidanzato Lei lo ha lasciato poco dopo. A lui è spiaciuto molto.



Un'idea di Lei





martedì 23 luglio 2013

Il punto è

Il punto è che sono irredimibile. Sarà colpa mia se ogni benedetta mattina mi risveglio con il mio volgarmente detto cazzo che mi scoppia di salute, tenuto a guinzaglio da una mano che a volte non resiste e scappella?!

Oh bella, proprio bella sta cosa si penserà nei piani nobili. Ma c'è di peggio, inizio a sospettare che a sciogliermi dal sonno non sia la limpida luce mattutina, quanto le esose richieste d'affetto dell'inesausta spadaccia. Sarà stata sveglia tutta notte così oppure lo fa apposta?

Domande della minchia.

Accanto nel letto avrebbe di che saziarsi con la di Lei figona boscosa, ma non è tempo, la giornata è appena iniziata.  E Lei, ma quanto siam diversiii, è più incline al dovere, specie  quando ha da alzarsi presto. Il suo primo pensiero sono tutte le cose da fare, da sbrigare. Io invece mi ritrovo in mano un cazzo impertinente e giocherellone.

Benedetta ignoranza della nerchia.

Così mi dedico a rifarle il filo, insomma una bella lucidatina ci sta tutta, dando la mattina come perduta.


***

Il mare è un sogno opaco dalla grande finestra aperta sul mondo, una tediosa foschia lo confonde. Di qua dal mondo solenne ci sono io. La mia ossessione per ora sta buona buona negli slip. Acquattata come un gatto, mi fa l'indolente. 

Vanitosa spada col vizio della memoria.

***

Ahi Sammy, e Yvette, Trilly, Lys, Y e ancora ancora... Torbidi richiami del passato, di una dolcezza sempre presente. Domina il segno Y, che vorrà di'?

Di là dalla finestra aperta sul mondo c'è ogni tentazione, ma è buona regola resistere. Alle tettine acerbe della cassiera per dirne una: ovvero due puntini rosa tra l'azzurro mare e la sabbia baluginante e bianca, contraccambiata da un tuffo a pesce di un cristo nudo dal cazzo color liquirizia, mi sorride ora con un pizzico di malizia extra. Malizia dote innata se si possiede una bocca minuta di rosso fuoco, così come i capelli: pericolo d'incendio.

***

Lei, e quando dico Lei intendo Lei, c'è sempre, forse pure troppo, ma questa è un'insolenza politicamente scorretta. Rimedio all'idiosincrasia a regalar fiori con razioni regolari di cazzo per la sua figona vorace.

Ecco qua.


Ier sera, por la tarde, con le persiane accostate che rilasciano una luce flebile; eppure mi armo di digitale in una mano, ché l'altra ha il suo da fare a contenere l'inesprimibile ebbrezza dell'esimio mio membro, che incita alla penetrazione immediata. Poche chiacchiere, vuol chiavare la sua troia.



Ma è una lunga storia perché Lei è fresca di doccia e tutta linda attende lunghe carezze e molti, molti baci fragranti.


Ragion per cui la lecco con somma golosità, che avreste fatto al posto mio? Arriva dappertutto la mia lingua, di tutto si vuole impossessare. La sento ormai pronta alla sacra profanazione: due dita scivolano in profondità, accolte da turgide labbra e dentro... da un mare in tempesta.

Mi prende in bocca il cazzo, come altro dire la cosa? Pendo dalle sue labbra ora, e affondo oltre ogni dire, fino in gola. Ho il mio gusto a far ciò.

Lei non di meno raggiunge con un dito pretestuoso il punto esatto in cui è possibile squarciarmi. Presto si inumidisce quel dito quanto basta e mentre io mi imbevo del suo succo, immolato con la lingua sul suo clitoride tiranno, rapida mi infilza il culo, spingendolo a fondo, finché non scompare dentro me.

Mi inarco preso da una scossa elettrica, così Lei ci prende gusto e chiava il mio arcano impietuosa. Cioè impietosa e impetuosa.

Godo e la imito, a modo mio, con un'appassionata pomiciata col suo culo, che scopro morbido e voglioso. Lo schiudo con la lingua e con la lingua lo chiavo, fin dove arriva.

Lei continua a succhiare. In segno di apprezzamento, chissà, mi spinge dentro un secondo dito che mi squarcia. Resisto finché posso, perché la cosa mi fa godere assai.

Ma non devo soggiacere, è un atto di guerra, un'insopportabile provocazione. Per di più il suo bel culetto (ah, gran bel culetto davvero) si mostra sempre più aperto alla mia lingua e alle mie di dita che ormai si intrufolano ovunque, trovando campo aperto.

E' tempo di dare una bella lezione a quel suo buchetto. Alea icta est, est, est. Un bel po' di assaggio alla figona non lo si può negare, questione di galanteria, ma la decisione è presa. Io la inculo. Voglio spadroneggiare.

  
Bel mestiere, inculare. Difficile pure. Anche se ingordi come quello di Lei, ci vuole un po' discrezione. So per certo che una bella leccata, fare qualche giochino con le dita non guasta, ma poi viene il dunque.

E dunque...



Godo a schiaffeggiare il buchetto a cazzo duro. Squaw pelle di luna, prona al mio desiderio, subisce l'assalto, docile si lascia sbattere l'animaccia di quel suo culo sconcio, ammirato e invidiato dalla notte dei tempi.

La monto così, sbattendole il culo con sempre maggior veemenza. Lei, la puttana, frenetica si masturba la vulva, ormai fradicia, senza misteri.


Sprizzerei entusiasmo a sbatterle il culo fino a eiaculare in quel recesso. Ma Lei all'improvviso cede, chiede la grazia. Per la sua figa che cola umori, allo stremo, chiede soccorso al cazzo. Be', vedi un po'...  non la si può certo scontentare.

Viene impalandosi sopra di me, ansimante esplode il suo piacere. Geme, geme, geme. Io continuo a sbatterla da sotto con secchi colpi incessanti.

Turgido all'eccesso ne esco come un coniglio dal cilindro. L'impulso è forte, duro da trattenere. Resta libero ben poco il mio cazzo, neppure un istante e la sua bocca lo accoglie ospitale. Con quel bruto, gentile si offre.

Ma è un tranello, perché in quell'attimo sublime ecco che mi squarcia ancora da dietro con le due dita summenzionate. Risalgono dentro di me fino a squassarmi.

A più non posso erutta il cazzo in quel deliquio estremo. Lei se lo strappa di bocca e ne indirizza gli zampilli copiosi su tutto il corpo, inondando di candido seme di maschio la sua pelle di luna.
 
Rivoli colano dagli angoli della bocca, innevano i capezzoli, colmano l'ombelico.

lunedì 21 gennaio 2013

Un culo, bianco

Il sole mi abbracciava per intero, solo al centro del mundo, sul più alto tra i candidi colli, sospeso tra cielo, terra, mare. La brezza marina mi sbaciucchiava le palle. (Prima del gran danno, non è ancora estate piena). All'improvviso quel culo, così bianco che appena appena balugina non troppo distante, non troppo vicino, mimetico nel biancore. Non faccio a tempo a sollevare l'arma che brandisco, la macchina fotografica, che il culo scompare, inghiottito dalle sabbie. Che miraggio è questo?

Un bel culo però, bianco. Ottimo colore per un culo, mi piace assai. E' un candore che mi seduce, un invito al vizio (se pure ce ne fosse bisogno). Ma forse è stato davvero un miraggio e sono davvero solo, esposto unicamente allo sguardo del sole, caldo, nutriente, protettivo. Invece dopo poco riappare. Giusto il tempo per poterlo valutare: potrebbe essere quello di un ragazzino, l'agile e nervoso culo bianco, chissà. Valutare non mi da il tempo di alzare l'arma digitale, ma solo di ammirare, prima che scompaia ancora una volta. Non è un miraggio, capiterà l'occasione. Ma l'attesa pare vana e quando ormai sto per tornare a distendermi ecco che riappare il culo bianco. Mi disorienta, ora è voltato e non si mostra, ma si apprende che è di femmena, e che è lui ora ad essere armato. Ed io sono la preda nel mirino del candido culo di ragazza. Ahi, ahi, che scatta, impietosa. Curiosa, golosa?

Pitonizzato non replico, che già sarebbe cosa buona e giusta al fine di celare il volto. Ho perduto il duello, ma non la possibilità di rifarmi. Mi resta l'agguato. Mi tolgo dalla sua vista e faccio un lungo giro fino a raggiungere un cespuglio, ottima postazione, ma il culo bianco nel frattempo è scomparso dalla mia di vista. Bene, sarà guerra di trincea. L'ardore guerresco, o semplicemente la situazione, m'induriscono l'uccello. A cazzo duro aspetto.

Invece ciccia, quando riappare il culo bianco è ormai riposto nei jeanss, a passo lento se torna a casa. Non mi resta che zoomare per scoprire di chi. Mi è noto quel volto ben più del culo. Però è quest'ultimo che ho ancora bene impresso quando ci torno su col penziero, a quell'evento. Strani penzieri. Avranno seguito? Chissà e chissà, l'inverno per me è calato come una scure troppo presto: gioia e dolore, come sempre nella vita, ma in dosi massicce. Presto arriverà madama Primavera e io ho un appuntamento galante con la brezza marina.      




        

venerdì 18 gennaio 2013

Ricapitolando

Càpita di farsi risucchiare dalla Vita.
Se la ride l'eterno tiranno,
che per definizione è il Tempo, maiuscolo,
e gioca a mio danno,
da che Mondo è Mondo.

Ma la Vita non è una cosuccia,
se la si considera a fondo, e regala scintille
d'eternità.

E ho imparato una Verità,
che già sapevo ed era già in me,
nelle pupille scure, e financo nell'animula,
nebulosa e incognita terra, hops, mortale.

Non era scritta su un giornale,
ma nella carne e nel sangue,
ed è una stilla imperitura, questa sì immortale,
destinata a fluire.

La Vita, è proprio vero, ha il suo sorriso.



Che aria stantia, in Suburra. Apriam le finestre, va là, lasciamo che sto ventaccio porti un po' d'arietta del 2013. (Mortacci, come passa il tempo). O sarà l'inclito disio di dar una lucidatina alla spada?  Non che non ci facessi qualche salto di tanto in tanto, ma per poi andare a sbirciare altrove, più che altro.

Proprio così, càpita che la vita ti risucchi. E la povera spada? Messa via, in soffitta, ad ammuffire si dirà. Ma che ci vogliamo fare, quando la Vita chiama, non ci si può nascondere, ne tanto meno rifugiarsi in Suburra a sproloquiar di varie amenità, menhirss, shivaismo tantrico, chiavate reali ed eventuali, masturbazioni digitali, polittttica gniente gniente, si sa.

Ricapitolando. Che ne è, o anche, che n'è, delle nostre eroine? Di Aspasietta lontana, che fu un tempo per me tutta tana (colava come poche al mondo quando bramava, bramiva). Un ricordo d'antan, quel poco che si sa non interessa, o almeno si finge non interessi. Che spesso è l'istesso. O no?

Y esotica vive pure più distante, ma basterebbe un clic, ma no, ma no. Asì es la vida. Porco sì, ma porcospino. Lontane tutte o quasi, Sammy ormai irraggiungibile, che fin che ha potuto ha fatto bisboccia: c'è anche quella che non (si) perdona, che non perdura. E Lys, il giglio, che gode solo se le si lascia far la geisha, che poi gli uomini a volte sono solo maschi, e si approfittano di questo diavoletto angelico, femmina da letto, donna di gran cuore. Yvette non l'è da meno quanto a questo, ed è assai più vicina, ma tiene famiglia. So che mi sorriderà sempre.

Perseverare diabolicum est, dice il saggio. Non così distante è Trilly, ma pur sempre tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. Ma qualcosa si deve pur fare di questa affinità elettiva. Ci sono istinti, impulsi che solo possono essere arginati: un fuoco inestinguibile dimora sotto un placido manto di neve. Della serie, meglio non lasciarci da soli in una stanza, se poi c'è per caso un letto... Invece c'è la tecnologia, ci mancava solo il sesso virtuale tra noi due. Davanti ai miei occhi si lecca le dita, il sorriso è una malizia che solo lei sa, come al solito vuole e non vuole. Però alla fine vuole.

Le mostro il mostro che mi cresce nei ginss, lo alliscio. Sei un porco, constata. Il suo è un rimprovero che mi incita, e poi tra noi c'è sempre una prima volta. Anche se è vedere, ma non toccare. Mi addosso il sacrilegio ed estraggo  il membro mio impaziente. Ma è già duro, constata. (Se si puo rimproverare col sorriso). Porco, aggiunge.


Si lecca ancora le dita, bimba golosa. Ho voglia, dice, se tu fossi qua. Le rispondo che voglio vedere il suo favo di miele, ma è una metafora, in realtà le chiedo (domando, supplico, ordino) di mostrami la sua bellissima figa, bionda e ricciuta, stillante nettare soave, questo sì. Ottengo ciò che chiedo, cioè niente di più di ciò che lei vuole.

Ed è bellissima davvero, una farfalla rosea, vorace. Infila un polpastrello o poco più, sono tutta bagnata, constata. Vogliosissima. E tu hai un gran bel cazzo, aggiunge, ma non suona a rimprovero. Le sue dita iniziano a danzare con la farfalla, un ballo che si fa sempre più frenetico. Viene in fretta, al solito, Trilly, maliziosamente trionfante. E devo sbrigarmi a seguirla, ché conoscendola, potrebbe anche mollarmi così, con l'asso di bastoni in mano, senza potermelo giocare.


Sempre così noi, constata. Già, sempre così. Ma perché allora? E che ne so. Vabbè, alla prossima volta. Magari entro il prossimo decennio. Nsi sa.
       


giovedì 26 luglio 2012

L'uomo giusto - Parte II

Mi alzo ogni mattina con in testa una canzone della vita. (C'è tutta una vita attorno alla spada che canta). Nasce dal sogno forse. Ah sognare. Senza in mano il teschio d'un buffone. Ma se poi vai su wikipedia conosci che è tutto un misandestendings o giù di lì. Intanto però la canzone dalla testa non se ne va. Non se ne va. Ma va bene.  Va bene.  

Stamattina mi sono svegliato con Aida in testa. L'amore mio Marlene e Charlot, Aida, la donna (in)giusta. Come eri bella, ah sì. Ancora tanto, anche se i tuoi lifting di questi ultimi trent'anni non ti donano. Altro che safari tra antilopi e giaguari, sciacalli e lapin.  Non è che prima fossi proprio perfetta. Ottimale però direi di sì. Ma Rino non ha potuto vederti: un demone, il suo, l'aspettava lungo strada. Vado oltre la lettura dichiarata dall'autore, Aida non è una donna qualsiasi, è la più bella del mondo. Lo è ancora adesso. E' santa e puttana.

Ma dopo un po' mi scoccio e ho voglia di scacciarla, di cambiare per lo meno canzone. Cerco sempre di stare attento agli accenti, riconosco il difetto d'origine, l'aborrita idiosincrasia che vorrebbe parità di trattamento per il maschile e il femminile, dinnanzi a vocale. Sed lecs, dura lecs.

L'ho sempre detto, non mi si puote dir di no, je suis una puttana, una puttana fedele a volte, ma sempre puttana. Italiano è l'uomo più vanitoso al mondo, l'Indiano gli è secondo, sarà un fatto culturale? E Aida pure lei non scherza. Io non faccio eccezione, ma me ne vanto solo perché ho il mio stilaccio andergraund.

L'unico modo è dunque passare ad altra canzone, scivolando con iutub su Che coss'è l'amor. Ahi, ahi Vinicio. Monarca e boemio. Da ballare pure da seduto davanti al pc. Se questa è la miseria mi ci tuffo con dignità da re.

Si scivola su iutub, ma si scivola bene, lo sabemos muy bien entre tu y yo. Passo a Tonino con naturalezza, altra cancion de mi vida, Me cago en el amor. Non mi è aliena la sua poetica, Tonino nel clip stretto a due gonfiabili in cadillac. E' un mondo difficile, no?

***

Forse l'ho voluta chiavare perché veniva dalla stessa città di Aspasia, l'accento era più o meno quello. Che non mi ricordo come si chiama non fosse decisamente bella non faceva differenza. Non. Ma forse è solo una scusa del cazzo.

Sta di fatto che l'indomattina, insomma ci siamo capiti, non la trovo. La chiamo e lei giustamente si lagna. Sono stato un barbaro, ah sì, be' non sempre sono così, anzi quasi mai, e me ne spiaccio assai. Si mostra offesa, rimprovera il cazzo in gola, i due colpetti e via. Ubi maior minor cessat, mi verrebbe. Ma sono un barbaro cortese, un pirata ed un signore.

Non si è allontanata tanto, e siccome il pragmatismismo è tutto nella città d'Aspasia, non resiste al mio nuovo invito. Se vieni ti do il resto. Viene, viene.

La faccio entrare e non le do il tempo. Niente letto. In piedi come animali, in cucina. Via i suoi jeans aderenti, gli slip, a terra. La faccio chinare e le lecco la figa ricciuta, ma non molto, perché lei è già pronta per la monta, cola nella mia bocca.

In un amen entro dentro fino in fondo, trovandola dolce e tenera, succosa. Non ha appoggi ed è difficile reggersi a lungo sulle ginocchia quando inizio a sbatterla sempre più forte. Ogni colpo è di grazia. Come fosse l'ultimo, ma l'ultimo non è. Anzi se posso aumento, fanculo l'infarto.

Non si reggerebbe da sè sola, questo è chiaro. Con le mani sono costretto ad artigliarle i fianchi, e le tette. Ancor di più geme e gode, con la schiena inarcata, quando le stringo il collo, la tengo per i capelli. Mi rammarico non ci sia un grande specchio di fronte. Godono le donne a vedersi troie.

E' una tenzone, ogni mio colpo la sfianca, l'induce a cedere sulle gambe, che non reggono più. Così è lei a segnare il passo, si china sul pavimento, il culo innalza a bandiera, con la figa gonfia, aperta, colante.

Il mio cazzo ribelle se ne sazia ancora, s'imbeve lucido dei suoi umori. Fotte e sbatte. Senza alcuna pietà: lei, non mi ricordo come si chiama, non chiede mercede. Non. 

Le guardo il culo bianco, inizio a fargli cambiare colore con sculacciate di complemento. Il giusto accompagnamento alla monta. 

L'obiettivo lo indica il mio dito, che infilo in quella bocca fiore carnivoro. Succhia avida. Troia, penso, ma non lo dico, non ho tutta questa confidenza. Non. Forse già sa. O magari non immagina.

Dalla bocca il dito passa diretto a saggiare quel pertugio che fa il vago, occhieggiando ad ogni mio colpo. Trovo il cuore del culo tenero e morbido, ormai cedevole come lo è ora lei.

Esco colante dalla figa, perfettamente lubrico, e lo punto. Lo punto e spingo. Gradatamente la inchiodo alla sua croce, tenendola per i capelli. E' stretto e pare non finire mai. Finisce quando le palle sbattono sulla pelle liscia del culo inculato.

Ha la pelle d'oca, ansima e geme: so di trovare i capezzoli eretti e li cerco con le mani per una conferma certa. Il mio ritmo aumenta, un'orchestra di diavoletti libidosi e perversi fa festa dentro di me. Sbatto quel culo di non so più come si chiama allo spasimo, come fosse figa, senza differenze. Le sculacciate l'hanno fatto roseo come un bel tramonto. O aurora, dipende dai punti di vista. Ma in questo caso tramonto.

Con una mano le cerco la sorgente che copiosa le inumidisce l'interno delle cosce. Non resisto e le infilo dentro due dita che la piegano in due. Le cerco il fregio, il piccolo cazzetto eretto quanto il mio. Bastano due carezze per sconvolgerla, mentre sempre più forte sbatto in culo il mio piacere. Impalata, con la pelle d'oca, sommamente gode, venendo con fremiti convulsi che hanno per epicentro il mio cazzo.

Le lecco un orecchio e le mordo il collo, vorrei anche dirle troia, ma non mi azzardo. Non bisogna elargire troppe medaglie al valore. Che altro serve se non riservarle i colpi migliori, quelli che mi portano all'estasi ribalda in quell'antro oscuro. Ogni fiotto è morte e redenzione, pena e lama, esultanza del cazzo, ma pure dell'anima.

Cinque minuti dopo l'ho salutata e le ho augurato buon viaggio. Non ricordo il suo nome né se le ho detto arrivederci, ma credo di no. 

Non l'ho più rivista.

***

Ad usum pisolonis (si fa per dire), pubblico di seguito fotazze rubacchiate duranti i miei pellegrinaggi nel fondo pornografico del uebb. Sa fe pandàn. Se fransè, si vu plè. Or vuar. Et a la proscèn.

 


  

             
***