giovedì 26 luglio 2012

L'uomo giusto - Parte II

Mi alzo ogni mattina con in testa una canzone della vita. (C'è tutta una vita attorno alla spada che canta). Nasce dal sogno forse. Ah sognare. Senza in mano il teschio d'un buffone. Ma se poi vai su wikipedia conosci che è tutto un misandestendings o giù di lì. Intanto però la canzone dalla testa non se ne va. Non se ne va. Ma va bene.  Va bene.  

Stamattina mi sono svegliato con Aida in testa. L'amore mio Marlene e Charlot, Aida, la donna (in)giusta. Come eri bella, ah sì. Ancora tanto, anche se i tuoi lifting di questi ultimi trent'anni non ti donano. Altro che safari tra antilopi e giaguari, sciacalli e lapin.  Non è che prima fossi proprio perfetta. Ottimale però direi di sì. Ma Rino non ha potuto vederti: un demone, il suo, l'aspettava lungo strada. Vado oltre la lettura dichiarata dall'autore, Aida non è una donna qualsiasi, è la più bella del mondo. Lo è ancora adesso. E' santa e puttana.

Ma dopo un po' mi scoccio e ho voglia di scacciarla, di cambiare per lo meno canzone. Cerco sempre di stare attento agli accenti, riconosco il difetto d'origine, l'aborrita idiosincrasia che vorrebbe parità di trattamento per il maschile e il femminile, dinnanzi a vocale. Sed lecs, dura lecs.

L'ho sempre detto, non mi si puote dir di no, je suis una puttana, una puttana fedele a volte, ma sempre puttana. Italiano è l'uomo più vanitoso al mondo, l'Indiano gli è secondo, sarà un fatto culturale? E Aida pure lei non scherza. Io non faccio eccezione, ma me ne vanto solo perché ho il mio stilaccio andergraund.

L'unico modo è dunque passare ad altra canzone, scivolando con iutub su Che coss'è l'amor. Ahi, ahi Vinicio. Monarca e boemio. Da ballare pure da seduto davanti al pc. Se questa è la miseria mi ci tuffo con dignità da re.

Si scivola su iutub, ma si scivola bene, lo sabemos muy bien entre tu y yo. Passo a Tonino con naturalezza, altra cancion de mi vida, Me cago en el amor. Non mi è aliena la sua poetica, Tonino nel clip stretto a due gonfiabili in cadillac. E' un mondo difficile, no?

***

Forse l'ho voluta chiavare perché veniva dalla stessa città di Aspasia, l'accento era più o meno quello. Che non mi ricordo come si chiama non fosse decisamente bella non faceva differenza. Non. Ma forse è solo una scusa del cazzo.

Sta di fatto che l'indomattina, insomma ci siamo capiti, non la trovo. La chiamo e lei giustamente si lagna. Sono stato un barbaro, ah sì, be' non sempre sono così, anzi quasi mai, e me ne spiaccio assai. Si mostra offesa, rimprovera il cazzo in gola, i due colpetti e via. Ubi maior minor cessat, mi verrebbe. Ma sono un barbaro cortese, un pirata ed un signore.

Non si è allontanata tanto, e siccome il pragmatismismo è tutto nella città d'Aspasia, non resiste al mio nuovo invito. Se vieni ti do il resto. Viene, viene.

La faccio entrare e non le do il tempo. Niente letto. In piedi come animali, in cucina. Via i suoi jeans aderenti, gli slip, a terra. La faccio chinare e le lecco la figa ricciuta, ma non molto, perché lei è già pronta per la monta, cola nella mia bocca.

In un amen entro dentro fino in fondo, trovandola dolce e tenera, succosa. Non ha appoggi ed è difficile reggersi a lungo sulle ginocchia quando inizio a sbatterla sempre più forte. Ogni colpo è di grazia. Come fosse l'ultimo, ma l'ultimo non è. Anzi se posso aumento, fanculo l'infarto.

Non si reggerebbe da sè sola, questo è chiaro. Con le mani sono costretto ad artigliarle i fianchi, e le tette. Ancor di più geme e gode, con la schiena inarcata, quando le stringo il collo, la tengo per i capelli. Mi rammarico non ci sia un grande specchio di fronte. Godono le donne a vedersi troie.

E' una tenzone, ogni mio colpo la sfianca, l'induce a cedere sulle gambe, che non reggono più. Così è lei a segnare il passo, si china sul pavimento, il culo innalza a bandiera, con la figa gonfia, aperta, colante.

Il mio cazzo ribelle se ne sazia ancora, s'imbeve lucido dei suoi umori. Fotte e sbatte. Senza alcuna pietà: lei, non mi ricordo come si chiama, non chiede mercede. Non. 

Le guardo il culo bianco, inizio a fargli cambiare colore con sculacciate di complemento. Il giusto accompagnamento alla monta. 

L'obiettivo lo indica il mio dito, che infilo in quella bocca fiore carnivoro. Succhia avida. Troia, penso, ma non lo dico, non ho tutta questa confidenza. Non. Forse già sa. O magari non immagina.

Dalla bocca il dito passa diretto a saggiare quel pertugio che fa il vago, occhieggiando ad ogni mio colpo. Trovo il cuore del culo tenero e morbido, ormai cedevole come lo è ora lei.

Esco colante dalla figa, perfettamente lubrico, e lo punto. Lo punto e spingo. Gradatamente la inchiodo alla sua croce, tenendola per i capelli. E' stretto e pare non finire mai. Finisce quando le palle sbattono sulla pelle liscia del culo inculato.

Ha la pelle d'oca, ansima e geme: so di trovare i capezzoli eretti e li cerco con le mani per una conferma certa. Il mio ritmo aumenta, un'orchestra di diavoletti libidosi e perversi fa festa dentro di me. Sbatto quel culo di non so più come si chiama allo spasimo, come fosse figa, senza differenze. Le sculacciate l'hanno fatto roseo come un bel tramonto. O aurora, dipende dai punti di vista. Ma in questo caso tramonto.

Con una mano le cerco la sorgente che copiosa le inumidisce l'interno delle cosce. Non resisto e le infilo dentro due dita che la piegano in due. Le cerco il fregio, il piccolo cazzetto eretto quanto il mio. Bastano due carezze per sconvolgerla, mentre sempre più forte sbatto in culo il mio piacere. Impalata, con la pelle d'oca, sommamente gode, venendo con fremiti convulsi che hanno per epicentro il mio cazzo.

Le lecco un orecchio e le mordo il collo, vorrei anche dirle troia, ma non mi azzardo. Non bisogna elargire troppe medaglie al valore. Che altro serve se non riservarle i colpi migliori, quelli che mi portano all'estasi ribalda in quell'antro oscuro. Ogni fiotto è morte e redenzione, pena e lama, esultanza del cazzo, ma pure dell'anima.

Cinque minuti dopo l'ho salutata e le ho augurato buon viaggio. Non ricordo il suo nome né se le ho detto arrivederci, ma credo di no. 

Non l'ho più rivista.

***

Ad usum pisolonis (si fa per dire), pubblico di seguito fotazze rubacchiate duranti i miei pellegrinaggi nel fondo pornografico del uebb. Sa fe pandàn. Se fransè, si vu plè. Or vuar. Et a la proscèn.

 


  

             
***




 

lunedì 23 luglio 2012

L'uomo giusto

Dal cielo piovono torbide minacce di sfracelli sulla terra devastata. Risveglio con fastidio titanico sotto pelle, con l'anima (o se vogliamo le palle) tra incudine e martello. Risveglio senza la consueta. Il mio canto del gallo, insomma. Tu chiamala, se vuoi, erezioneeeeee.

Smosciato, eppure vorrebbe una sviolinata. Mettiamogli un po' di musica, va. Qualcosa di allegrone, tipo Nick Cave. Nick Cave? Naaaaaaa. Però anzi sì: "Loverman". Niente, non dà segni di ripresa. Se ne sta lì, tutto rintanato, manco fosse il cuore.

Lunedì del cazzo. (Ma per me è sempre lunedì, o domenica. Non fa differenza, se non quando ritorna il campionato, altro oppiaceo). Io sveglio, se non è Tutto un'illusione, lui dorme. O noncurante, finge. Da prenderlo a schiaffi. E pure tutto ieri ha fatto lo svagato, l'inappetente. Una domenica senza libidine. Ma non importa che fosse domenica.

Terapia d'urto: Gianna Nannini, "Bello e impossibile". Se si monta la testa è già qualcosa. Metto. Sì, mi voglio ancora un poco di bene anch'io. Anziché prenderlo a schiaffi, lo blandisco con carezze. Mostra di apprezzare, mentre fuori tristemente spiove. Un'improvvida telefonata interrompe l'incerto idillio.

Gli concedo l'ultima possibilità, o la va o la spacca. Julio Iglesias, ebbene sì. "Sono un pirata e un signore" mi strappa un sorriso, questo sì, ma l'inquilino del piano di sotto è sempre tutto immusonito. Che c'avrà mai stamattina? Chi si crede d'essere, l'asso di bastoni, Stocazzo?

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Donna angelo, donna diavolo, puttana redenta, anzi no, redentrice. Maria Maddalena, se non proprio la Madonna. O Grande Madre. La terra che accoglie avida la pioggia battente, e non di meno il sangue, lo sperma, il sudore, quello degli occhi, le lacrime.

Come sotto i portici, ragazzo con mani di giunco, al sicuro col mio sguardo incolpevole, mentre quella si mette al centro della piazza, ha deciso che deve avere i miei lampi. Cascate d'acqua le sciolgono i capelli, il volto come disciolto in un pianto fiero. Non teme tuoni e saette.

Per tutti i miei no ho temuto in sogni ripetuti di essere sbranato dalle baccanti. Avevo un ideale, per carità, niente di fisso, ma l'oggetto del desiderio più intimo doveva corrispondere alla mia armonia, doveva avere uno stile unico, irripetibile. E poi c'era la mia sensibilità acerba, la mia dolorosa, atavica diffidenza, l'inesperienza e incompetenza, la vergogna della sessualità, l'oppio distorto dei sogni, una naturale propensione alla sensualità e alla bellezza. Non è cambiato molto, solo trombo di più. Ma è una battuta di Stocazzo, non c'è nessuno che resti uguale a se stesso.

Sicuramente avrei bisogno di ben più di four days con la bella psicologa, o qualche sua omologa. Mi disse che il motivo per cui tanto piacevo era a suo giudizio frutto di due cose, di certo la virilità che trasmettevo, ma poi ispiravo anche un senso materno.  Le sono bastati quattro giorni. Io ero così incasinato che non ho dato troppo peso alla sua figa, materna e vogliosa di virilità. Tuttavia professionale, come esigeva la situazione, la mia condizione.  

***

La bellezza conta, e conta assai. Ma Cleopatra pare avesse un bel nasone. Io ne ho due, di quello sulla faccia da ragazzo me ne facevo un problema, e pure di come acconciare al meglio i capelli ribelli: l'uso del gel era in linea coi tempi. E i Tempi, si sa, cambiano.

In spiaggia qualche giorno fa, povero cristo al tramonto con Lei nel pieno della sua matura bellezza. Quando si allontana in mare, cammina e nuota, posso distrarmi ad osservare la ragazza straniera distesa ad abbrozzarsi a pochi metri di distanza. Un'effrazione con innocenti occhiali da sole. 

Dev'essere tedesca o su di lì, ed è bene dirlo subito, non è quella che normalmente verrebbe definita una bella figliola. L'ora è tarda, e all'orizzonte non si vede questo granché, tranne Lei che se la nuota beata.

Distesa sulla sabbia, il telo è un velo, la tedeschina scioglie e poi rimette con apparente innocenza la parte alta del due pezzi. Appaiono due immature caciottine bianche. L'intero corpo è latteo, biondi i capelli che però non brillano, il sole s'è oscurato.  Il viso non dice molto, di più la cellulite che così precoce ha già iniziato a imposessarsi delle cosce.

Eppure. I tempi cambiano. Seppur da lungi, mi interesso a quella cosina nascosta dal costumino roseo. (Bisogna tenere conto che ogni donna ne possiede una. Di legno, con i denti, pure la vergine di Norimberga ne possiede una).  Ho pensato che anche lei potrà trovare qualcuno che le fa compagnia, che la fa inumidire, rendere impudica, desiderosa di essere riempita, scopata, sbattuta a fondo, o magari leccata a lungo, con maestria e passione, penetrata da dita e cazzi impavidi. Di sicuro nessuno può vietarle di immaginare tutto ciò. Nessuno può proibirmelo.

***

Non mi ricordo neppure più il nome, anche se non è passato troppo tempo. Riconosco quella certa gioia che mostrano alcune donne all'incontrarmi, quando al'improvviso compaio nella loro vita. Un baleno, ma ancora non sanno quanto io sia balengo.


Ora posso riconoscere che è anche, ma perché no, una gioia, una festa della figa. Tuttavia... Anche lei, non mi ricordo come si chiamava, sfuggiva ai miei abituali canoni estetici. Non era notevole il viso, se non per la bocca stretta, per via dei denti sporgenti. Un difetto sul quale, tuttavia, non pochi uomini giocano di fantasia. Io mi limitai a osservarla e a salutarla gentilmente mentre mi veniva incontro. Anche il corpo, stretto in pantaloni e giacca di jeans, non doveva destare particolari entusiasmi.


Come fu, come non fu, giunsi all'effrazione. Era entusiasta: so quanto può donare questa maledetta terra benedetta ai suoi ospiti. Fu impudica, mi invitò a cena, dissi prima sì, poi dovetti dirle no. Per farlo bussai alla sua porta. Mi aprì, era appena uscita dalla doccia: i capelli bagnati tutti appiccicati alla testa, il viso e la bocca come un fiore carnivoro, oltre a questo solo i piedi scalzi sbucavano dal grande telo bianco che fasciava il suo corpo grondante.


Avevo solo un quarto d'ora, massimo venti minuti, dovevo sbrigarmi e fino a quell'istante non sapevo. O chi lo sa come ragiona l'inconscio, cos'è poi l'istinto. So che mi avvicinai, fino ad aderire alle sue forme, premendole il cazzo sul ventre le baciai quel fiore carnivoro. Divorò la mia lingua,  intrecciandola alla sua, fu così che le le tolsi con un gesto unico il telo di dosso. Nuda dinnanzi a me, continuava a sgocciolare, in specie dalla figa rosa e nera, pronunciata e cespugliosa.


Le sorrisi e la baciai ancora (poco importa se sentivo i denti), mentre con un dito le schiudevo le labbra della sua figa, per farlo scivolare tutto dentro, di filato. Come quella prima lunare volta con Aspasia. Come lei era assai più bagnata dentro che fuori.


Non mi ricordo come si chiama era un pozzo caldo d'umori, accolse il mio dito come fosse quello di dio, con un gemito e un mancamento. Per un'istante ebbi la sensazione di reggerla in piedi solo con quello. Per questo (ad essere insinceri), la feci inginocchiare e le feci sbottonare il pacco davanti alla sua bocca aperta, in cerca di ossigeno per il futuro. Non ci fu bisogno di farle gentilmente notare che era il caso di succhiarmi l'uccello.


E non trovò niente da obiettare quando assecondai il mio brutto vezzo e glielo spinsi tutto fino in gola.  Ovunque posso, ove mi sia permesso e concesso, mi piace infilarlo tutto, fino in fondo. Nella bocca fino in gola, col naso che preme sull'addome, le mie mani che spingono sulla nuca. Mi approfittai del suo riprendere respiro per sbatterla sul letto: la presi per i capelli bagnati, e da dietro, come fanno gli animali, la montai vigorosamente.


Si faceva tardi per me, smontai e lei si girò, spalancando le cosce per accogliermi con la figa colante. Non potevo dire di no a chi in quel momento bruciava sul rogo. La chiavai senza pietà ancora per qualche minuto prima di inondarle il petto. Era tardi, dovevo proprio andare.        

***

Il mattino del lunedì mattina si è fatto meriggio, ormai quasi sera. Il mio particolare s'è anche un po' ringalluzzito nel frattempo. E può pure essere che la prossima volta racconterò il seguito della vicenda che precede. Cercherò di fare memoria, sarà l'età, ma proprio non mi ricordo il nome.

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Oggi s'è sentito un po' così



lunedì 16 luglio 2012

La spada che (ne) risponde

 
Premiazione dell'Indovinapisello, paraponzipozipò, chiedi a carlos questo e quello... Carissimi, pregiatissimi vincitrici e vincitori di codesta pessima e malriuscita edizione, a voi l'onere e l'onore di cogliere l'agognata palma, questo è il momento. Vi chiamo a raccolta, se avete una curiosità, una perplessità, un complesso di superiorità, qualsiasi cosa, non siate indulgenti, domandate senza posa. Vi verrà corrisposto con sommo piacere.


Io ho raccontato finora la mia parte di verità, ma se qualcosa è restato in ombra, fiat lux! (E' sempre meglio della Duna). Sapete che questa è la mia natura, potessi la spiccherei da me per donarvela, trascende ogni mio controllo. A voi la possibilità di portare nuova luce. E linfa...


L'anima riposa in acque ora torbide ora cristalline, sempre profondissime. L'ombra mia si stacca da me, ve ne faccio grato dono. E dei sensi e del corpo, in piena luce piena, e dei sentimenti. Siate dunque arditi, non abbiate remore, rompete ogni indugio. Domandate ora, nel momento del vostro massimo trionfo (almeno per Pisolo, l'alfiere), ciò che più vi aggrada conoscere di questo vostro umile servitore. Orsù, afferrate l'occasione.



E' giunta l'ora del question time, uh yeah. Non vi tapperò la bocca, a meno che non lo vogliate, ma fatemene esplicita richiesta nel qual caso. Mettetevi belle comode, chiedete ciò che volete, ciò che non avete mai osato chiedere e ch'entro vi strugge di curiosità inappagata. Siete languide, morbose, vezzose, indiscrete, meditabonde, esilaranti, eccitanti, sinuose, compiacenti oppure no, indisponenti, se volete datemi pure i calci nei denti, e prendetemi anche un po' per il culo, ma state pur serene e confidenti. Risponderò in piena e cordiale sincerità. Oplà.


E più e più dimandate. Vuolse così cola dove si puote ciò che si vuole. Il premio attende d'essere innalzato. Soprattutto mettetevi comode, e se vi fa piacere volendo potete anche sedervi quassù.


Per te Pisolo non vale, ne sarai credo sollevato. Ma il premio ti esorto a ritirarlo, per una volta che ti capita... Puoi ispirarti a tuo piacere, ché immagino pure a te piaccia godere. Ok, ti fornisco un aiutino, la di Lei figa aperta e vogliosa. Poi dimmi se non ti voglio bene.


Vincitori, possono ritirare il premio:

Pisolo,
Kameo,
Milk,
Sara,
Klàra,
Dea.

Ma anche Seta che ne ha fatto richiesta. Si duole di non essersi accorta a tempo di questa V edizione. Per quanto mi riguarda la richiesta è accolta a pieno titolo, salvo ricorsi dell'ultim'ora. Perché aveva sempre partecipato, non può essere così penalizzata. E se ci fosse stata, son convinto non avrebbe fallato. E poi perché Seta è Seta.
  
***

Interrogatemi, dunque.


Vi risponderò. A dovere, con piacere.


E sincerità.
 

A riecce carlos, uomo.

sabato 14 luglio 2012

Indovinapisello - V edizione

Venghino siori e siore, e sciùri e sciùre, e come ormai di consueto, Ferencvaros ed Hesterazy, venghino. Nani dormiglioni e ballerine, grandi madri giunoniche ed estrelle marine, venghino. D'altronde che c'è di meglio, di venire? Venghino ordunque a questa brillante, brillantissima edizione quintesima del gioco a premi che spopola sull'uebb: l'imprescindibile, inqualificabile, irresistibile, immarcescibile, irascibile, simpaticissimo Indovinapisello!

Ebbene, bando alle ciance, si dia fiato agli olifanti, chi ce l'ha, altrimenti va bene tutto, anche una trombetta di carnevale. Ora ogni dubbio verrà sciolto, l'àrcano o l'arcàno, svelato.

Cessi il mormorio e ogni brusio, è tempo di gran gioia, di spasimi di gloria: chi avrà l'alloro e la palma, chi potrà fregiarsi dell'ambito premio, chi proclamato a gran voce vincitore? Non esitiamo più, ve lo rivelerò, anzi, lo griderò ai quattro venti: in tutto ottanta, cioè. Se la matematica non è un'opinione...

T H E    W I N N E R    I S


Pisolo,
ma pure
Kameo (Kameo??),
Milk,
Sara,
Klàra
e Dea.


Il premio per i trionfatori di questa emozionante edizione dell'Indovinapisello è quello di rivolgermi quante domande indiscrete vogliate. O anche discrete, se credete. A piacere. Insomma, tema libero, 360 gradi. Con un'unica condizione: si tace sui dati sensibili riguardanti la praivasy spadereccia. Aspetto il Vs. fuoco di fila...


***

L'esatta risposta era dunque la n. 18, che ripropongo nella sua originaria sequenza. Per farvene omaggio, sperando di non deludervi troppo assai. Questi i reali sensi nostri, il resto fuffetta levantina. Le immagini sono a scomparsa.



(Dicesi, non è bello ciò che è bello, ma bello ciò che piace. E a me, e non solo, me piasce... Altro adagio di popolare italica saggezza è: chi disprezza compra (non esiste moneta che possa farlo). Oppure è l'arietta degli Urali, il senso di solitudine delle steppe. O magari è, e mi sa tanto, l'invidia del pene. Ho detto pene, non piede. Con tutti gli sforzi che si possono fare mi pare impossibile farlo ejaculare quest'ultimo. Benché piedozzo.

Personalmente questi sensi condivisi mi pare corrispondano poco a quelli descritti proditoriamente in alcuno commento chez Estrella nel post gemellare al mio precedente. Proditoriamente, mi auguro per la sua autrice, perché si può sapere anche ogni piccolo dettaglio sulla meccanica del sesso, e non sapere, di ciò che veramente conta, per l'appunto, un cazzo. Questo sarebbe davvero deludente. Ahi, illudersi... :)

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Prolegomeni al post precedente, al punto che più ha colpito l'immaginazione collettiva. Lei ha preso tanti uccelli in bocca che mi piace farmi raccontare, un po' come Sherazade, più pigra, un po' meno pressata. Li ha succhiati, leccati con piacere, o magari meno, a seconda. La sua bocca ha accolto il seme di molti uomini, ma non ha mai inghiottito. Non l'è mai piaciuto.

Pensavo che magari all'inizio sì, invece no. Non mi importa un fico secco in realtà. Magari a molti e molte sì, a me mica tanto. Non ci vedo afflati mistici a ricevere simile ostia (poi si dice che non me le vo a cercare). Poi se capita, ben venga. Infatti non ricordo con certezza che un'unica volta in un viaggio giovane, lontano e favoloso. Quanto a Sammy invece mi chiedo se una componente psicologica e di comunicazione vi fosse. O forse no.

Più di tutto mi piace godere su... ma forse rubo qualche domanda al prossimo post.


lunedì 9 luglio 2012

Il mio sogno di donna

Il mio sogno di donna è Sherazade. Riconosco di poter essere tirannico, ma non potrei mai tagliare la testa di una donna bellissima, che mi scopi bene e viceversa, ma soprattutto che non mi venga mai a noia. Ah, la noia. Perché amo le storie, e mi eccitano i particolari.

Occhi verdi, raccontami ancora di quel tipo di XXXXXXX, che era così brutto. Eppure ti facevi scopare da lui. Mi vuoi snello, mi vuoi bello, ma ti piaceva farti montare in piedi contro la macchina, in una stradina di campagna, da quell'emerito balanzone. Tu bellissima, dolce fata dagli occhi smeraldo, tu pelle di luna, aprivi le cosce e te la facevi leccare avidamente da quell'uomo che aveva preso a sbavare per te. Che non gli doveva sembrare vero, però bisogna dire ti ha "letto" bene. Il tuo essere troia che mi ha conquistato.

Dimmi, ti penetrava a fondo e poi ti sbatteva per bene, non è così che gemevi contro quella macchina? Veniva dentro di te con godimento animale nella strozza, gli ultimi colpi furiosi? O gli permettevi di non usare il preservativo a quel porco e di gettare il suo seme sulla tua pelle di luna, sul tuo culo da sballo. Oppure è la bocca che gli porgevi per i suoi ultimi bestiali rantoli?

Avrei voluto essere lì, morboso tra le fronde della macchia, a struggermi di piacere a guardarti. E non mi stanco di ascoltare le tue storie, questa e le altre. Pendo dalle tue labbra. Col mio cazzo a punta, Sherazade, che non è scimmitarra (è piuttosto diritto e regolare), né katana (troppo lunga e affusolata spada), neppure gladio (ovvìa, grosso sì, ma troppo corto, mi si faccia grazia) e neanche fioretto (non è così fine, seppure abbia il suo stile).

Quanto a morbo, in realtà ne ho fatto di peggio, chissà se riuscirò un giorno a raccontare io qui. Con Lei, occhi verdi, ho preferito tacerne. Non tutto si può dire. Intanto aspetto che un giorno (o meglio una notte, sia pure la millesima) mi riveli ciò che invece ancora bramo di sapere.

  
Lei gode a immaginarmi alle prese con una puttana, una donna a cui posso fare ciò che voglio. Così viene, masturbandosi mi urla il suo piacere deflagrato. Per forza maggiore ingiungo alla sua testa di raggiungere il mio uccello, ansioso ormai di beatitudine e buona notte al secchio. Ma anche di godersela al meglio. Significa farselo succhiare per un po', tenendole ben ferma la testa, la mia mano che spinge la nuca, egoista afferra i capelli senza far male. Ora deve obbedire al mio ritmo che sostitisce il suo. Incalzante fino in gola. Gola profonda. Deep throat. Nessuna pietà, adesso tocca a me la beatitudine.

 1

Dovrebbe essere ormai preparata, eppure al primo strillo di bianco seme dritto in gola vorrebbe fuggire in bagno. Resiste al secondo, io non lo mollo così il mio orgasmo: animo, donna. Il terzo un po' le cola. Non smetto di godere, come un asino, raglio ancora il mio piacere in profondità: e quattro, e cinque, e sei.

Soddisfatto le sollevo la testa di medusa, le gote gonfie di sperma traboccante. Finalmente può correre in bagno. Col cazzo fradicio chiudo gli occhi e mi concedo un ampio respiro di vita.

2
  
Sono volubile, ombroso, variabile d'umore. E di gusto. Duttile nel godere una donna, ancor di più a farmi godere. Forse qualcuno ne stupirà.

Sammy sapeva prendermi l'uccello croccante in bocca. Quando riceveva il permesso (è una persona molto educata, compìta in coscienza, assai pudica) di solito non se lo faceva ripetere due volte. Ricordo solo quando, dopo quattro anni di astinenza di me, con il cuore appetitoso che faceva oilì oilà, me ne chiese conferma: davvero posso fare quello che voglio?  (...Mettiti comodo, bambolo...).

I miei assensi significavano affidarsi completamente nelle sue mani, e ancor di più alla sua bocca. Certo che poi mi scopava anche: ergendosi a dominare il mondo mi cavalcava con ardore, concedendosi un godimento che poche donne raggiungono: dopo avermi sbattuto potentemente, senza darmi respiro, mi sommergevano le sue ondate di piacere, orgasmi ripetuti a piacimento. Anche metterselo tutto, fino in fondo, nel piccolo culo (latteo come le tette invece enormi) era un suo dominio, compiuto senza sforzo apparente. Sempre sopra di me. Ricordo come venne una delle ultime volte: immobilizzato sotto di lei, bambolo infingardo, il cazzo come un palo, Sammy che lo fa scomparire in un baleno, traendo un lungo respiro, si incula e mi sbatte con veemenza. Viene così, masturbandosi, e io di conseguenza.

Poteva fare di me ciò che desiderava, non mi disturbava essere il suo maschio-oggetto, tutt'altro. Leccava ogni centimetro della mia pelle, dedicandosi con crescente diletto ai miei piedi, alle ascelle e ai capezzoli, fino a deliziare il mio punto Q, laddove sono più debole, languido e morbido.

(Io non la leccavo, non mi piaceva la sua ampia fornace, esangue e vorace, quasi priva di labbra, però pelosa, d'un vello rossastro. Soprattutto non le consegnavo le chiavi del mio cuore, che a modo suo l'amava pure, ma più di tutto sé stesso).
(Nei più recenti trascorsi di quest'ultimo lustro non ha mai accettato per più di qualche secondo che fossi io a dimenare l'uccello nella sua intimità. Doveva essere lei a scopare me, e non viceversa).

Più di tutto amava tenere, anche per lunghe ore, il mio uccello in bocca: altro dominio, non sottomissione. Lo gestiva sempre con maestria, portandolo sull'orlo dell'acme, tenendolo a lungo sul filo. Sapeva essere profonda di gola, incessante di labbra, golosa e curiosa di lingua. Quando capiva che finalmente era Tempo, sapeva come farmi raggiungere il massimo del piacere, senza perderne una goccia.

Solo allora andava a sputare ogni mia stilla di candido, maschio fulgore.  

3

Spossato dal lungo, eterno viaggio, ancora ragazzo dell'Europa, devo appoggiare i palmi al muro mentre sotto di me, tra le mie gambe leggermente divaricate (i jeans aperti, gli slip abbassati quanto basta)  la spogliarellista d'Oriente in terra d'Occidente, alta e sinuosa, s'imbocca del mio cazzo giovane, di norma timido, di norma. Il più bel pompino della mia atroce vita. Da svenire davvero. Ma non accetterò la sua ospitalità. Stupido, romantico idiota. Coglione.

4

Stavo sempre all'ultimo banco, evitando dunque l'ingrato compito di primo della classe. L'alunna nuova che viene da fuori l'hanno sistemata nell'unico posto libero, solitaria nel banco accanto al mio una cascata di capelli neri, labbra carnose, una spiritosa lingua rosa. Avevo già il vizio della noncuranza, ma sbircio. Sembrava non se ne desse conto, invece un giorno si volta e mi guarda fisso nei miei occhi di ragazzo, si porta un pennarello alla bocca e inizia a simulare un grandioso, esperto pompino, che lascia pure me a bocca spalancata. Nessuno della classe pare se ne sia accorto, la professoressa leggeva di Dante e Beatrice.

Più tardi mi scioccherà ancora, dicendomi che da grande vuole fare la puttana. Idee chiare in testa, il talento credo ci fosse tutto, di certo l'indole. Non so cosa ne sia stato: il padre l'hanno trasferito di nuovo, dopo pochi mesi: destinazione vattelapesca.

  5

Ha dell'incredibile, Trilly, che in tutti questi anni io non abbia mai potuto, o saputo, farmelo succhiare da te. Come si conviene tra due inseparabili buttane. Eh sì, è così, sei sempre stata una donna splendidamente egoista: vero, ma troppo semplice.

So che lo faresti degnamente, impazzirei a intrecciare le mie dita tra i tuoi riccioli biondi. Ma c'è sempre Tempo, sai che tra noi è una storia infinita e meravigliosa. Sarà la prossima, chissà.

(Ammetto che vent'anni non sono pochi, ma in cima ai miei pensieri c'è sempre stata la tua fonte: con devozione la mia faccia ha scavato il piacere tra le tue cosce di marmo pario, spalancate, suggendo nettare e miele, ambrosia degli dei).        

Non ti mancherà questa qualità, infine. E io vorrò colare incandescente la mia lava sul tuo volto sempre in attesa di me, un volto che nessuna forbice può recidere. Solo nella memoria che si sfolla. Scoperò la tua bocca, la via per il cuore passa anche di lì.

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Il post odierno, sempre che qualcuno, o meglio qualcuna, sia giunto indenne fino a qua, è valido come V edizione dell'indovinapisello, vilissimo e vanissimo gioco a premi. Stavolta chi vince potrà farmi una o più domande indiscrete. Fatta salva la mia praivasy. 

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venerdì 29 giugno 2012

Lo sconosciuto

Ma il mio indirizzo è "Via del sopracciglio destro"...
(F. De Gregori, Chissà dove sei, 1974)


La Signora si spazzola i pensieri mentre guarda dal balcone il mare vicino e il cielo lontano. Nessun vento nei capelli, neppure una brezzolina leggera, sincera. Non distingue l'orizzonte, il vapore acqueo unisce il mondo liquido di sopra con quello di sotto. L'aria è liquida, ma calda e appiccicosa. Come i pensieri della Signora.


***

Lo Sconosciuto è un folle che sobbalza a ogni buca dello sterrato. Le stampelle incastrate nel sedile affianco, guida. Dal gambaletto di gesso sbrecciato fuoriescono ben più delle cinque dita regolamentari, metà piede si è ormai liberato. Pensa di essere diretto verso la libertà, sopporta il sopportabile, l'importante è non aver incontrato un blocco dei pulotti, sullo sterrato ormai è salvo.


***

L'aria è ferma, cocente, impietosa, leggermente sapida. Anche il mare sotto è immobile, senza increspature. Una goccia di sudore discende dalla fronte della Signora, scivola sul collo, si fa rivolo trovando porto sicuro nell'ansa dei seni. Si sente umida anche tra le cosce, umida e scivolosa, le mutandine zuppe. Insinua una mano tra le pieghe del pareo, e sotto il tanga, a sentirsi dove più è liquida. La figa come l'anima. Un polpastrello l'avverte che è bagnata di dentro non meno che di fuori. Bagnata e incandescente. Dov'è tuo marito, Signora?

***

Ha parcheggiato con rumore di ferraglia al limitare della macchia, di fronte allo stagno secco. Prima le stampelle fuori, poi con cautela lo Sconosciuto fuorisce dal catorcio, si issa in piedi e respira l'aria di mare, finalmente. Decide di evitare la scorciatoia che immette in spiaggia e sceglie di costeggiare lo stagno scomparso, dove la sabbia è più compatta. Alza lo sguardo sulla spiaggia, in quel tratto intrisa di turisti che si lasciano cuocere a fuoco lento dal sole giaguaro. Oltre gli ombrelloni variopinti cerca il mare, salvezza agognata. Non si stupisce della sua terrificante immobilità, né dell'indeterminatezza dell'orizzonte, celato da una cortina di vapori. Procede, a labbra serrate, verso il mare, aspirandone col naso l'effluvio salato. Lo considera balsamo fine.

***

La Signora ha schiuso le labbra, morirebbe per un cubetto di ghiaccio tra le cosce, per una mano d'uomo che non chiede, prende. Si domanda se non sia il caso di masturbarsi, di prendersi il piacere e placare il fuoco che le brucia dentro. Il marito è assente, lo sarebbe anche se ci fosse: sarà a bordo piscina che ciuccia una bibita con la cannuccia, mentre con la coda dell'occhio sbircia i culi delle turiste e le tette delle cameriere, ma anche le tette delle turiste e i culi delle cameriere. Questo la Signora non lo sa, lo sente, come lo vedesse. Il mare sotto è una cartolina dalla Polinesia, decide di raggiungerlo, sarà il Mediterraneo ad accoglierla nel suo liquido abbraccio, placandone l'arsura.

***

Raggiunta la battigia, lo Sconosciuto si avvia verso destra con passi d'airone fuor d'acqua, ogni passo avanti è uno strappo alla gamba resa più pesante dal gesso. Fatica sì, ma non c'è dolore, nessuna corona di spine sulla fronte imperlata, lui che è di legno di ginepro e non suda manco a morire. Non è neppure un santo a piedi nudi e se qualche bagnante distratto gli serra la strada volentieri gli darebbe di stampella. Ma il cammino è ancora lungo, e se vuole trovare la beatitudine nella solitudine deve procedere oltre il grumo di turisti che si affolla nel tratto dinnanzi al parcheggio. Tutti lì stanno, poi li senti che si lamentano che sembra Rimini. Basta serrare le labbra e andare avanti, non una stilla di splendore, una goccia di sudore, vada sprecata.

***

Si lascia alle spalle il villaggio-vacanze-tutto-compreso la Signora, e la piscina, con annesso marito, che per oggi, ha dichiarato, non si muoverà di lì. Dice che è stanco, che passa tutto l'anno a laurà, a tirare la carretta, che ha bisogno di riposo. Il mare è fantastico, non un'increspatura a turbare il quadro idilliaco, se non quella nebbiolina in fondo. Solo che per raggiungerlo tocca fare lo slalom tra i bambini che fanno grandi e inutili buchi nella sabbia, e ombrelloni, sediette e lettini, schivando, se possibile, palloni da calcio e palline scagliate a 200 all'ora da fanatici muniti di racchettoni. L'acqua poi è una piccola delusione, l'avverte tiepida, sembra ristagnare: non manca il torsolo di mela che galleggia e un paio di bicchieri di plastica immobili a mezz'acqua. Quasi in riva l'acqua fa le bolle, e neppure un'ondina vaga. Troppa gente, sospira la signora, non è l'Eden selvaggio che si aspettava, giunge a pensare che quell'ammasso di umanità vociante, risplendente di creme solari  sono forse le stesse persone anonime che incontra, solo un più vestite, al mercato, per strada o a lavoro, in-città. Vorrebbe uscire da quel magma, o la sua arsura non sarà placata. Si avvia verso sinistra la Signora in esplorazione, ormai decisa ad osare, le infradito fanno cic cioc quando pestano il velo d'acqua ferma.

***

Passo dopo passo, con pazienza d'airone zoppo, la meta non sembra così lontana. Si è già molto diradata la calca iniziale, ma oltre le rocce in fondo sa che troverà il paradiso che cerca. Ora non c'è più nessuno che incrocia il suo incedere da evaso che si trascina una palla di ferro: il piede offeso, costretto nel gesso. Lo Sconosciuto scaccia pensieri che vengono dall'anima, sanno d'inferno in terra, lutto, amore incompito e dilaniato, spirito umiliato e solo, ma non vinto, secoli di immobilità imposta. Serra le labbra e procede ancora, fino al paradiso, oltre quelle ultime rocce rosse.


***

Un canale largo una decina di metri le sbarra il cammino, sfociando in mare. Basta un fiumiciattolo a mandare a gambe all'aria i propositi bellicosi della Signora? In altre occasioni magari, ma quello è un giorno sognante, l'esplorazione continua, via dalla pazza folla, avanti con l'avventura in quella terra selvaggia. Imbocca il sentierino che costeggia il canale e in breve raggiunge il ponte di legno che porta all'altra riva. Guarda oltre e si avvede che non è un fiumiciattolo, ma un braccio di stagno che si getta in mare, stagno adibito a peschiera dagli aborigeni del luogo, gli autoctoni, conosciuti finora solo in camicia bianca da cameriere. Bei ragazzetti, qualcuno almeno, perché no, ma che accento buffo, tutto calcato sulle consonanti, pronunciate come fossero scoppi di petardo, scoppi ritardati. Cic cioc, la Signora calpesta qualche formicuzza e si imbeve del profumo dalla macchia. Da nord si è aperto uno spiraglio, la raggiunge qualche refolo inebriante, ma stento. Si sente ancora tra le cosce inebriata.

***

Lo Sconosciuto è ormai nel suo angolo di Paradiso. Posa gli arti artificiali su una roccia di porfido a pochi metri dall'acqua. Si guarda ancora attorno, nessuno è più in vista. Alle sue spalle una collana di deliziose calette intervallate da rocce d'ogni forma, scolpite dalla natura (c'è anche chi la chiama Dio, ma secondo me è femmina). Di fronte a sé si allunga un tratto di sabbia bianchissima che brilla al sole, lambita mollemente dalla risacca. Il mare fa da estrema barriera alla natura selvaggia delle colline retrostanti, che appaiono riarse, esauste, ma solo pochi mesi fa erano un trionfo di colori, profumi e fiori. Disserra le labbra e schiude gli occhi al mondo, come stesse nascendo allora, come tutto fosse nuovo, creato in quell'istante l'increato. Si spoglia di tutto, tranne che del gambaletto che lo teneva prigioniero: gambaletto poi lo è diventato a furia di strapparne ostie fibbrose, in principio giungeva a mezza coscia. Lo sconosciuto annusa il mare a pieni polmoni, lo beve nelle sue trasparenze, sa che lo accoglierà come un figlio perduto. Si avvicina a tentoni, poggiando con cautela sul vello sabbioso il piede gessato, fino a inzupparlo a pelo d'acqua. Le dita costrette del folle fanno cic cioc.

***

E cic cioc fanno le infradito della Signora, che ormai non ha più freni ed è decisa a seguire la direzione di quei refoli rinfrescanti, inebrianti. Porge loro il viso, il petto lievemente ansante, la figa che sente sempre più umida d'umori mescolati al sudore. Desidera. Cosa bene non lo sa, o forse lo sa fin troppo. Lungo la riva del mare non c'è più nessuno, come d'incanto. Il mare ora invita, ma gli resiste, si mette come obiettivo le prossime rocce, ma poi scopre una nuova caletta e va avanti. Finché di lontano scorge uno sconosciuto in riva al mare, che si muove in maniera bizzarra. E per di più sembrerebbe tutto nudo, in aggiunta ha una gamba che sembra molto più grossa dell'altra. Zoppica lo Sconosciuto fino all'asciugamano disteso, cava fuori dallo zainetto un paio di grosse forbici affilate. Ce ne sarebbe abbastanza per fare marcia indietro, cara Signora.


***

Lo Sconosciuto degna di uno sguardo il piede appena liberato, il cui pallore contrasta con la tonalità ambrata del resto del suo corpo. Ora è davvero completamente a nudo, in mano un grosso joint di canapa che aspira con discreta voluttà. Non ripensa a nulla: in quel posto, in quel momento non esiste ne passato né futuro, solo quell'istante. Quella scintilla di Tempo con la maiuscola. L'eternità in un attimo, chi l'ha provata sa cosa voglio dire. E' sul limine tra i due universi, tra terra e acqua, che si guarda attorno con lentezza e studio, socchiudendo un po' gli occhi mentre guarda verso sud, dove sfumano i contorni, le lunghe ciglia nere a proteggere gli occhi da bandito dai riflessi del solleone. Scorge ora la turista solitaria, ancora distante, che ancheggiando procede nella sua direzione. Per reazione si morde lievemente un labbro, ma decide di fregarsene, non andrà a rivestirsi in ossequio alla comune decenza, sarà semmai il mare a coprire la sua eresia, a proteggere lo Sconosciuto temerario e orgoglioso.

***

Ha un attimo di titubanza la Signora, ma è il basso ventre con i suoi fremiti a dettarle la strada. Si cautela  contro l'impeto dei sensi, rallentando il passo, chinandosi a cogliere qualche ormai rara conchiglietta. Per darsi un tono: è una Signora. Ormai a poche decine di metri, cinquanta forse, non di più, osserva i movimenti dello Sconosciuto che entra in mare con lentezza, sinuoso con zoppìo. Lo trova molto bello, in quella gloria di natura da sfinimento non fa contrasto. Un sospiro la sorprende come un refolo improvviso tra i capelli, l'aria salsa discende impetuosa nei polmoni, con pienezza nutre ogni suoi tessuto, ridona vigore, infonde strano coraggio, finora mai provato. O è la follia contagiosa dello Sconosciuto?

***

Lui solleva un sopracciglio, quello sinistro, la scruta mentre lei finge di interessarsi a quelle minuscole conchigliette. (Lasciatele stare, sono gli ultimi doni di un mare impoverito, e sono per tutti). Soppesa la donna in arrivo, ne intuisce il respiro più intimo, la sua umida natura. Solo per un istante, è più che abbastanza. Si rivolta verso la gran distesa d'acqua, riempe d'aria i polmoni, sentendo con piacere il dilatarsi del torace, fa un passo ancora, l'acqua è ormai alle ginocchia. Poi il balzo feroce, disumano, che strappa anche il piede pallido e offeso dal fondo del mare. Questa cosa è ancora dolorosa, ma dura un momento solo, non è niente in confronto al patimento che ha dovuto subire. Ora l'abbandono ha un senso, tutto in quel tuffo con cui si immerge totalmente nell'elemento liquido. Ciao ciao dolore: l'acqua che lo avvolge lava via ogni umiliazione patita, dona la leggerezza perduta ad ogni membra. Lo Sconosciuto riemerge dopo pochi metri, un altro respiro e un nuovo tuffo ancora. E poi ancora uno, e poi un altro, a polmoni pieni. Si sente pesce. Con l'acqua al mento, la bocca fuori (in the while crocodile), si volta verso la spiaggia e la vede ferma di fronte a lui, la Signora, con in mano una presa di conchigliette, il cuore in tumulto, ansante, dannatamente tentato. E non solo quello.

 ***

Con lentezza lo Sconosciuto si avvia ad uscire. Si sente nuovo, ma è solo una piacevolissima sensazione, è quanto basta. La Signora, immobile sulla riva come una vittima sacrificale, lo aspetta con la bocca socchiusa, non gli stacca gli occhi di dosso, ha perduto ogni ritegno? O pensa di ritrovarsi nel giardino dell'Eden, dove tutto è permesso? O quasi.

***

Baciato dal sole, lo Sconosciuto si ferma davanti a lei, sgocciolante: il maggior rivolo è quello che sceglie la via della virilità per tornare al mare. La Signora ha ancora la bocca semiaperta, trae quell'ossigeno che le fa sobbalzare lievemente i seni tumidi. O sarà il cuore, in qualche punto là sotto. Lui si aspetta che possa parlare, dire qualcosa che spezzi l'incantamento. Così sporge le labbra, quelle labbra rosa e viola, ma non è un invito a scoccare baci, un vezzo da seduttore. Poggia invece l'indice sollevato sulle labbra, fino a toccarsi la punta del naso. Gli occhi hanno un guizzo da predone gentile.

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Gli occhi della Signora trovano ristoro, calano rapaci sul membro grondante dello Sconosciuto e non si staccano di lì. Manco fosse il piffero magico. Lui anticipa i pensieri di lei, prendendole una mano, la guida ad appropriarsi del suo fallo: percorso da un fremito al contatto, si innalza in gloria di un dio ebbro, in piena e immediata erezione. La cappella, rossa, accesa, è puntata verso il cielo come un monito: sono ancora qui, non mi spezzo mai, non mi piegherete mai. Ciò che conta è solo il qui e ora.

***
Guidata dal cazzo stretto in mano, come presa all'amo la Signora segue lo Sconosciuto, che camminando a ritroso, la conduce dove l'acqua è più alta, fino a quando sono solo le teste ad emergere. Tutto accade sotto il livello dell'azzurro più intenso. Le gambe di lei cingono i fianchi di lui, il costumino scostato di lato permette al cazzo risoluto di sprofondare interamente, riempedola a fondo, come non mai. I movimenti sono al principio dolci, ritmati dallo stesso movimento del mare. Poi un bacio di lingue salate, assetate, suggella una più completa compenetrazione dei corpi. Lo Sconosciuto sente la lingua di lei farsi gelata all'improvviso, come se la linfa vitale si concentrasse ormai in unico punto. Allora aumenta la cadenza dei colpi in quell'unica direzione, cioc cioc, mentre con le mani rapaci sui fianchi la tiene avvinta a sé, cic cioc, cic cioc, finché non raggiunge un ritmo indiavolato, quasi insostenibile. Ma ogni colpo inferto è accolto come una benedizione. Non dura molto, l'orgasmo li squassa uno dopo l'altra, mentre lei morde a sangue il collo dello Sconosciuto. Poi esausti si staccano, fianco a fianco, senza più toccarsi raggiungono la riva, toccano terra.

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E' giunto l'attimo della consapevolezza per la Signora, era ora. Senza rimorso si accorge che il sole è ormai alto, e soprattutto che ha un marito che forse non è più a bordo piscina, ma la sta cercando, si domanda dove si sia cacciata,  non la trova.  Lo Sconosciuto abbozza un mezzo sorriso avvertito, mentre lei per tutta risposta allunga ancora una volta la mano a riprendersi quell'uccello d'uomo, forse per un saluto, una subitanea nostalgia, chissà. Il sorriso di lui è ora un bagliore completo, blocca al polso la signora, allontanando la mano predatoria. Stupore sul viso di lei, che domanda senza parole: Tu, chi sei? Ti ritroverò? Parla lui, lo Sconosciuto: Nei prossimi millenni potrai ritrovarmi ancora qui. Forse.

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 Giulio Romano, quasi 3.000 anni più tardi,
rappresenta l'immane disastro della stirpe di giganti
negli affreschi di palazzo Te, a Mantova.

Perché queste cose sono sempre.
E io sono ancora qua.


***

Avvertenza: ciò che ho rappresentato finora sul mio blog è stato narrato in prima persona, il che significa che gli accadementi erano tratti dalla realtà della vita mia. Nuda e pura: giacché tutto è puro per i puri. E' l'aspetto che ho sempre prediletto in questo contesto. Qua siamo invece alla terza persona, chi legge ne tenga conto. 



lunedì 25 giugno 2012

C'è felicità, o è solo sfiga

C'è felicità, o è solo sfiga: laspadachecantablues potesse ve ne spiattellerebbe subito qualcuna delle sue, ma niente, pare che Tutto sia già stato detto, Tutto sia scritto. Non diamocene troppa pena, ce n'è già una che è eterna. Allora il pensiero che urgente al ritorno si pone non è del Tutto mio, data millenni, è un antico frammento.

Il carattere dell'uomo è il suo demone.

Detto questo, torniamo a bomba. Ebbene sì, eppur si tromba. E questa è già una bella soddisfazione. Per il resto, per il momento, la chiudo qua, che necessità vuole che mi riguardi. Ma prima cerco e metto una fotuzza mia di quelle antipudibonde, tiene lontani spiriti erranti, vergini di Norimberga, false bionde, chi crede che la cesura tra erotismo e pornografia sia segnata su un gran monolite nero.
 


Rieditata, l'immagine può pure essere approriata al resto,
per/versi molti, ma non mi dilungherò,
né mi sdilinquerò o come si dice.

Va intesa in senso diacronico,
perché per il momento sincronizzarmi così
per me è ubbia.

Poi, per la richiesta stramba è a tempo limitato,
mi stufo a porgere le terga, e un po' di schiena si vede.
Cambierà con altra quando sarà, se sarà, e a gusto mio personale.
 Di meglio, credimi, con tutta la volontà, non posso fare.


***

Sdilinquirò si dice, meglio controllare, ad avere il Tempo.

domenica 10 giugno 2012

Ma scusate



Ma scusate...  anche per il paragone improponibile.
Però voi... sinceramente, come lo preferite?




Così?

Oppure
così?

o  magari
 è così che lo preferite? Al naturale.



Mi raccomando, sincere.
E poi un'altra cosa mi verrebbe da chiedervi:
dov'è che vi cade l'occhio?

Qui?

O magari
lassù, allo sguardo fiero, repubblicano?

Oppure...
Oppure...



***


Ho dovuto cercarla a lungo in rete, ma alla fine l'ho trovata, anche se non è un gran che, visto che la giornata non è così luminosa. E' piazza Maggiore, a Bologna. L'angolo di visuale scelto è quello che indarno cercavo sul uebb, e per giunta non mi ritrovavo neppure foto mie, asino che sono.

In quell'unico punto punto è posta un'utile lastra di pietra scura, uguale a tutte le altre della piazza, diverge solo il colore. Siamo alle spalle del Nettuno, nella piazzetta del reuccio bastardo in ogni senso. L'opera è del Giambologna, al secolo Jean de Boulogne, creata in piena controriforma. Un omaccione gnudo, un dio pagano che fronteggia il tempio cristiano, S. Petronio. Cardinal legato, sanctissimo ac reverendissimo Carlo Borromeo, sei pure santo, e che santo. Ma sei sicuro di averci pensato bene?  


Era il tempo in cui si mutandava il giudizio di Michelangelo, mica cazzi. L'inquisizione preparava i suoi roghi.
In certi frangenti la prudenza è tutto, l'artista accetta la commissione: i soldi del papa fanno comodo, si sa che gli artisti ne sono spesso a corto, sono mani bucate.

Il più grande scultore della Maniera abbozza quando gli viene fatto notare che no, non si può fare tutto ben proporzionato. Passi per le quattro sirene che si strizzano i seni, meglio che zampillino da lì che d'altre parti, ma c'è ben altro, un qualcosa che si deve assolutamente minimizzare. Altrimenti meglio mutandare, come si propose poi.

Giamby abbozza, che sa il fatto suo. Rimugina un attimo e... sapete come sono fatti i geni, trova la soluzione. Una poderosa soluzione, degna degli attributi di un dio. Da un unico, diabolico, angolo di visuale il dio del mare ritrova tutta la sua maestosa virilità, con cui fronteggia la grande chiesa. S. Petronio lassù chissà cosa pensa, non l'hanno fatta neppure cattedrale.

sabato 9 giugno 2012

C'è felicità. O è solo delirio

Zara degli dei
Zara degli eroi
Zara degli dei
Madre degli eroi
Zara degli dei
Madre degli eroi
Zara degli dei
La terra ti bacia
(V. Capossela, Brucia Troia, 2006)



C'è felicità nella scrittura, beato chi ce l'ha.
Felicità in chi ancora si emoziona, entusiasma, appassiona.

E' vero, lo sguardo talvolta mi si offusca,
non discerne che ombre indistinte nella nebbia spessa.
A volte neppure questo, nebbia e solo nebbia.
E io stesso vengo definito ombroso: non me ne adonto,
perlopiù me ne fotto.  E faccio male.

Stacco stanotte lacerti alla luna, me ne nutro.

Terra matriarca, madre, matrigna,
(rossa, grigia, nera, gialla africana, bianca di forre, verde di macchia, e di piombo),
tuo figlio vive immerso in te, non si può staccare dal tuo abbraccio doloroso,
mai ti tradirà.

Altrimenti non so più vivere, se pure non è un inganno di immagini falbe.

Sono un cane folle di nostalgia, nostalgia di me.
Sorella  che mi ami, sorella lontana,
stanotte faccio tana alla luna,
ne divorerò la pelle, a brani.
 
Stirpe maledetta è la mia, se ce n'è una,
non è vezzo, o solo questo:
in me scorre nelle vene scuro e impetuoso sangue di titano.

(Non muta il quadro che là in fondo al gran vascone, in Palestina,
atavici parenti seguitino a cavarsi gli occhi. Shalom e Salam, basta che sia).

Liberi, prosperi e felici quando signore dio era Urano,
quando tutto era un eterno fluire e non ci curavamo dell'avvicendarsi delle stagioni.
Crono ci illuse che quello era il Tempo nostro,
decidemmo di inghiottire il mondo intero,
ma facemmo indigestione e Zeus soppiantò il padre.

Stabilì il suo ordine olimpico, non lo potemmo tollerare,
ma fallì l'assalto al cielo, le saette del dio egeo svettarono le torri orgogliose.
Poseidone completò l'opera, schiaffeggiò chi si trovava per mare,
affondò tra i flutti le temute navi di bronzo. 

Ai miei maggiori non mancava l'animo, seppure temerario,
andarono incontro ridendo all'abbraccio infuocato del dio
(metà uomo, metà toro, orrendo mostro),
tanto che ne restò in ogni lingua della terra d'Occidente verbo,
stigma di ironica protervia.

Io, per schiatta, seguito a non mollare,
piango e rido, se posso chiavo, o semmai mi masturbo,
spero che  questo non vi arrechi eccessivo disturbo: 
entro qua dentro massimamente per svago,
il mestiere mio è altro, è a volte è pure difficile,
vivere.

Per il resto continuo ad andare a cercare nel ventre delle torri abbattute,
bighellone a tempo perso, 
e se mai incontrassi prigioniero il Tempo, lo liberei,
incurante di fulmini e saette, irridente.