lunedì 25 ottobre 2010

Lunedì enigmistico

Mi sveglio
con voglia di figa
stamattina.

Ma Lei non c'è.
E' fuori per lavoro.

L'aspetta un lungo viaggio.
Di certo mentre guida
saprà come scacciare la noia
e una mano scivolerà tra le sue gambe.

Penserà a me?
Lei dice sempre così.
E se no a chi?
L'aspetta un vecchio
sconosciuto amante?

Lunedì quiz.

Tema, se non s'è capito,
la figa.











Mi piace bionda,
rosa di porcellana
e morbidamente pelosa.

Cela anfratti
da molti amanti
frequentati.

E forse mai del tutto compresi.










Resta il mistero,
moltiplicato per chissà quante.

Ognuna ha il suo particolare.
Che a volersi intestardire
ci si può dannare.











Se si offre
perfettemente rasata
è un chiaro invito,
la fa impazzire
farsela mangiare.










Ma resta
piacere sopraffino,
esplorare una selva incognita,
il grembo nero
di una foresta equatoriale.

Entrare nel profondo,
esplorarla con le mani
e con la bocca
fino a scoprirne il frutto
selvatico e succoso.














Tutte le femmine ce l'hanno.
Apparteniamo al regno animale.

A volerla stuzzicare
siamo in tanti,
ma ognuna ha la propria personalità,
come dire,
la propria cultura.

E non tutti la possono...
contemperare.












Mi piace anche quella timida,
che non sai mai
se vuole
o se non te la vuole dare.

Mi piace poterla espugnare,
piantare la mia spada.
Che sia mia schiava.
Ne voglio trionfare.











Oppure io
lo schiavo sarei,
di lingua, mani
e membro
alla figa padrona fedele.











Che ve ne sembra?
Pare dica,
cosa aspetti porco,
leccamela.












Mi si possa seccare
se non te la lecco,
la bacio tutta
come fosse l'altra
tua bocca.

Ma più di tutto adoro
guardarti,
mentre la accarezzi
e godi.












Tanta delizia
è un fatto naturale,
lo si può immaginare.













Ma è meglio approfondire.













E se capita
di doverne approfittare,
sia lieto e lauto
il saccheggio.

Sempre esser cavalieri,
sia puledra o chimera,
ci vuole emozione,
passione.

A volte basta un fiore
e passa tutto il malumore.














Lunedì enigmistico
insomma,
e senza figa.

Il quiz,
s'è visto anche altrove,
va di moda.

Si provino i temerari,
le audaci signorine,
a far la prova.

Tredici in tutto
son le sacre fonti,
ma solo a cinque di esse
mi sono abbeverato.

Non sarà facile indovinare.

sabato 23 ottobre 2010

Non resisto

Mi schiodo di qui,
non ho alibi,
desisto.

La giornata d'altronde
è spettacolare,
vedo passare
lontano lontano,
sul filo dell'orizzonte
una grande nave.

Cos'ho da fare,
a parte dar da mangiare al cane?

E al gatto.

Per cui la scelta è una e irrevocabile,
il momento è fatale.

Ebbene sì, vado al mare.

A mostrar le chiappe naturalemente,
anche se non sono poi così chiare.


Palle all'aria insomma.
Cha c'è di male?

Sarà il deserto,
vista la stagione.

O forse ci sarà qualcuna,
bella e solitaria.

E magari un po' porca.

Basta. Ora devo andare.

Queste fantasie me le faccio lì.

Al mare.

mercoledì 20 ottobre 2010

In viaggio


Viaggiano i viandanti, viaggiano i perdenti

più adatti ai mutamenti...

In viaggio
(Ko de Mondo, Csi, 1994)




13 anni.

Età dell'inconsapevolezza.

Fino allora di innamoramenti
del tutto platonici,
senza sofferenza:
la mamma, la maestra,
la compagna di banco...
la più bellina della classe,
era l'unica bionda.

Ho chiuso con le figurine,
ma non ancora dismesso la fionda.

Leggo di castelli incantati e
di principesse da liberare,
immaginando di essere
un prode cavaliere
dotato di invincibile spada.

Non più bambino,
non del tutto ragazzo,
mi si indurisce
e lo accarezzo,
ma ancora non conosco
l'arte di venire.

Finché arriva un grande evento,
anzi un vero portento,
ché di andare per la prima volta
lontano da casa
senza la sacra tutela dei genitori
ero felice e contento.

Gita di terza media dunque,
sulle sponde del lago tirreno.
Luogo senz'altro ameno,
ma poche lire in tasca.

Però in mezzo al branco brufoloso

anch'io
ho di continuo tra le mani
il cubo di Rubik.

Mi arrabatto a risolverlo,
ma non mi riesce.
Solo una volta e per caso.


Stessi luoghi
mille e mille anni fa.

Li scruta
un condottiero
con l'unico occhio che gli rimane,
forse sorride con un ghigno
ringraziando il suo genio,
al sopraggiungere dell'intuizione.

I suoi mercenari caleranno
come falchi dalle boscose colline
sull'angusta vallata stretta al lago
immobile.

I suoi uomini hanno barbe incolte
e malrasate,
ma le loro armi sono lucide,
crudeli e sempre assetate.

Il condottiero è figlio della folgore,
vengono da un lungo viaggio.


Per lui quello è giorno di vendetta
e di gloria,
per i nemici, i figli della lupa,
di strage immane,
con la scelta di morire di spada
o di annegare.


A tredici anni
mi sono per la prima volta
pazzamente innamorato.

Lei stavolta è bruna,
tante smorfie graziose,
tutta un sorriso.

Una delle poche della scuola
senza zanne.
Per forza, viene dalla città
ed è l'unica che dà un po' di confidenza.

Una volta le avevo persino offerto
una cingomma
all'ora di ginnastica.

Non era della mia classe.

In riva al lago
l'ultima sera della gita si fa festa
e per il branco brufoloso
si aprono le porte d'una discoteca.


Nientepocodimenoché.

Un po' spauriti dalle luci...
come si chiamano?
Stroboscopiche.
Ma i divanetti mettono a proprio agio.
E poi se siamo in discoteca
vuol dire che siamo grandi.

Strizzo un occhio,
scruto la pista
e prendo coraggio.

Sudo come un maialino,
ma fiducioso mi avvicino
alla smorfiosa cittadina
e la invito a ballare un lento.



Come dimenticarsene?

Due lenti,
il suo viso sulla mia spalla,
il mio piccolo, tenero cuore che batte.

Accanto al suo.

Due lenti e sono cotto.

L'epilogo è però amaro,
ché lei balla con un altro
e in quattro e quattr'otto
ci si fidanza.

Ammetto di aver pianto.
E molto.
La disillusione fu cocente.

Preferivo rinchiudermi nei bagni
per disperarmi
e ai miei due compagni di stanza
non lo diedi troppo da vedere,
che dentro qualcosa mi stava sbranando
il cuore.

Per loro mi ero mostrato prode
e un poco invidiavano
i lenti ingannatori
che non avevano ballato.

E forse anche il batticuore.




Ps: E' facile e futile giuoco rivalersi del passato modificandolo a nostro piacimento.
Eppure tutti lo facciamo. Ah, se potessi... quella volta... ma con la testa di adesso.

Così... mentre ballavamo stretti stretti...
avrei dovuto al suo orecchio suadente sussurrare, invitarla a uscire un attimo con me. Portarla fuori, che so, a vedere la luna. Prendendola magari per mano. Fuori forse c'era la luna piena, ora non ricordo.
Mano nella mano, due cuori in riva al lago lucente, ci saremmo baciati.

A quel punto, sempre "con
la testa di adesso", avrei pensato:
e ora prendimelo in bocca smorfiosetta di città, che non ho mai goduto e sarebbe una gran prima volta farlo sul tuo dolce viso.




venerdì 15 ottobre 2010

Tre cose solamente

Primo se ne era dato
per avvertito,
gentilmente accostandomi,
per stile,
a chi ha luogo sicuro
nella mia biblioteca babilonese,
rifugio ombroso
di rami, foglie e germogli
sempre verdi.

Ringrazio di cuore,
ma ben lo so,
che nella forma e nella sostanza,
da tale onore
siderale è la distanza.

I miei frutti sono acerbi e selvatici.

Non rinnego però
la parentela spirituale
di quell'avo burlesco e malinconico,
realistico e giocoso.

Ai suoi più celebri versi,
Fabrizio De Andrè
diede nuova voce,
perché i buoni semi
non vadano mai persi.



S'i' fosse foco, arderei 'l mondo;
s'i' fosse vento, lo tempesterei;
s'i' fosse acqua, i' l'annegherei;
s'i' fosse Dio, mandereil'en profondo;
s'i' fosse papa, sare' allor giocondo,
ché tutti cristïani
imbrigherei;
s'i' fosse 'mperator, sa' che farei?
a tutti mozzarei lo capo a tondo.
S'i' fosse morte, andarei da mio padre;
s'i' fosse vita, fuggirei da lui:
similemente farìa da mi' madre.
S'i' fosse Cecco com'i' sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
e vecchie e laide lasserei altrui.



La prima quartina del sonetto
che nelle Rime segue,
dell'Angiolieri è considerato
come il "manifesto",
che io sottoscriverei
assieme a tutto il resto.



Tre cose solamente mi so ’n grado,
le quali posso non ben men fornire:
ciò è la donna, la taverna e ’l dado;
queste mi fanno ’l cuor lieto sentire.


Dante cantò di Beatrice,
il senese volse i suoi versi a Becchina.

Conobbe l'Alighieri, Cecco,
con il quale ebbe poetica,
aspra tenzone.

Che Dante scenda dall'empireo
dello Stil Novo
per giocare con l'Angiolieri
nel suo campo,
non è dato sapere,
non ne rimane traccia.

Ma in altra tenzone,
quella con Donati Forese,
il massimo Poeta mostra
di non disdegnare
l'uso della contumelia
e quello del pettegolezzo.

Cecco da parte sua,
la conclude così:



Sì che, laudato Deo, rimproverare

poco pò l’uno l’altro di noi due:
sventura o poco senno cel fa fare.
E se di questo vòi dicere piùe,
Dante Alighier, i’ t’averò a stancare;
ch’eo so lo pungiglion, e tu se’ ’l bue.


mercoledì 13 ottobre 2010

Le dimensioni del pene - vol. II

Intanto c'è da dire
che superdotati si nasce
e non si diventa.

E' una qualità innata insomma.
Se di qualità si tratta.

Trovi infatti quella che ci va matta,
ma assai di più son quelle
che si mettono paura
al cospetto di simili proboscidi.












A meno che non siano pornostar
o comunque, verrebbe da dire,
delle gran vaccone.

Però però...

Quanto m'era bruciato,
in una lite fatale
d'atroci disvelamenti,
il veleno d'Aspasia:
con lui ci sono stata
perché ce l'aveva grande,
gli arrivava fino all'ombelico.

Ma non era un amico?

Vabbè, son cose vecchie,
lasciamo stare.

E poi, per il resto,
mi ha goduto per anni
dicendomi
che era perfetto per lei,
che era proprio della misura giusta.









Insomma, la superdotazione
può darsi faccia la sua porca figura,
ma negli usi pratici
può costituire una limitazione.

Come già detto,
la stessa Aspasia infatti,
dono il suo, per un ottavo
nobile culo,
solo a due minidotati.

Categoria questa,
a ragione compatita,
ma per l'occasione ne provai invidia.

A me del nobile ottavo
ne toccò meno d'un sedicesimo,
appena una puntina.

(Ndr: amico lettore
se la questione entro mi rode
e non sai perché,
non hai letto "La macchia umana",
di Philip Roth).


Tornando alle dimensioni,
si può dunque affermare
che le mezze porzioni
a volte si fanno valere,
mentre le superdotazioni
hanno le loro controindicazioni.

Certo da ragazzino
se hai un pisellone spropositato
sei la leggenda dello spogliatoio,
ma fioriscono anche le battute
e i nomignoli non vanno
nel dimenticatoio.

Agli atti pratici
parrebbe servire soprattutto
in casi estremi,
come per rispondere a qualche
privata inserzione sui siti d'incontri,
richiesta da insaziata ninfomane.

Concludo perciò
questa mia sgangherata dissertazione
con un'illuminata massima
del grande poeta Whu Ming Chung,
(che il nome in cinese
significa minchione).

"A ogni uccello
il suo nido
e il cuculo non deve rompere i coglioni"
.

lunedì 11 ottobre 2010

Le dimensioni del pene

Normodotati di tutto il mondo unitevi!

Anzi uniamoci.
Ebbene sì, sono normodotato anch'io.

Nella media nazionale naturalmente.
Perché poi la cosa varia a seconda
di dove puntate il dito sul mappamondo.

Si sa che gli africani spesso dispongono
di certe sberle,
mentre altri raramente toccano il fondo,
come gli orientali, che di norma
se lo guardano coi cannocchiali.






















Io insomma non mi lamento,
come dicevano i latini,
in medio stat virtus.

Maneggio una spada
che solo per gioco
chiamo Durlindana,
tuttavia è di bella presenza,
di buon nerbo e giuste proporzioni.

Certo, lo ammetto, come tutti,
quei due o tre centimentri in più
non li avrei considerati un'eccedenza.

Ma, come dire, chi si contenta gode.

E io confesso di aver goduto.

Però ho anche fatto godere
e nessuna mai si è lamentata della razione.
Anzi, per lo più, ne hanno voluto a ripetizione.

venerdì 8 ottobre 2010

La mia ombra










Cercando appigli,
oggi poesia.

Beccatevi questa qua,
di tale Eugenio Montale.

Ciò che di me sapeste
non fu che la scialbatura,
la tonaca che riveste
la nostra umana ventura.

Ed era forse oltre il telo
l'azzurro tranquillo;
vietava il limpido cielo
solo un sigillo.

0 vero c'era il falòtico
mutarsi della mia vita,
lo schiudersi d'un'ignita
zolla che mai vedrò.

Restò così questa scorza
la vera mia sostanza;
il fuoco che non si smorza
per me si chiamò: l'ignoranza.

Se un'ombra scorgete, non è
un'ombra - ma quella io sono.
Potessi spiccarla da me,
offrirvela in dono.


In Ossi di seppia, 1925

lunedì 4 ottobre 2010

Lei e... le mie clienti - vol. III

L'avevamo già fatto
godendo come animali selvatici,
nudi sulla sabbia ancora calda,
ma lontano dal mare,
oh assai lontano dal mare
e dagli ultimi brandelli
del suo turismo balneare.

Nell'aria immobile dei primordi,
era solo il ronzare di insetti,
lo sfrecciare di qualche uccello in volo,
lo sfavillare di libellule e farfalle,
il dolce mormorio dell'acqua
e qualche sparo, ma lontano.

Poi al ritorno,
ben stanchi, in piena notte,
ma con la voglia di godersi ancora.

I baci sono profondi e prolungati,
così che la spada risponde a dovere.
Lei avverte subito che merita,
implora particolari attenzioni.

Così sente con mano di rabdomante...
e come un rapace si riappropria della preda.

Con una mano stringe l'elsa,
con l'altra, aperta, saggia le palle,
trovandole grosse, dure e unite,
con la pelle crespa e tesa.
Come piacciono a Lei.

Mi stringe il cazzo e lo masturba,
poi si china a succhiarlo.
Quanto è brava a succhiarlo.
Me lo godrei fino in fondo,
sparato sul letto.

Il satrapo e la sua sgualdrina!

Ma so che Lei ben altro pretende
e dà.

Così una mia mano si dirige decisa,
scivola rapida sulle spalle e la schiena
fino al culo perfetto,
lo accarezza, se ne appropria, lo schiude.

Le dite si insinuano nel solco,
fino al più nascosto dei passaggi obbligati,
ma lo superano per raggiungere
la figa ricciuta, misteriosa e tutta da esplorare.

Lei mi lucida la spada
con bocca spietata,
mentre le mie dita, umide di saliva,
si impossessano della figa,
scavano nel piacere
fino a raggiungere l'umido di dentro.

So che presto la infilzerò,
ma prima voglio leccarla e leccarla,
darle un piacere esclusivo.

Per far ciò mi assoggetto al rischio,
ché a vedermi così impegnato a novanta
e con le mani libere
la tentazione è grossa:
una mi stringe il cazzo,
l'altra indugia sulle palle,
poi un dito immediato presidia l'accesso,
minaccia il mio culo.

Però è dentro che mi vuole,
per una volta il pericolo è scampato.

La prendo di fianco e la chiavo,
facendole assaporare a poco a poco
il membro che la sta aprendo
come una mela croccante e sugosa.

Poi sempre sul fianco inizio a sbatterla,
prima piano, poi forte, poi molto forte.

La sua figa è ora un lago
caldo e profondo,
ma lei gode con tutto il corpo.

Le spalanco le cosce e le sono sopra,
l'abbraccio e la scopo fino in fondo,
fino a quando Lei decide
di balzare in sella e darsi all'equitazione,
specialità preferita il galoppo.

Io prediligo la monta,
il suo bel culo alto,
la figa scoscesa e aperta
come quella d'una cagna in calore,
di una vacca da montare.
Così le piace pensarsi
e io volentieri l'assecondo,
continuando a fornirle
cospicue razioni d'uccello.

Ora vuole venire
e raggiunge l'orgasmo
con dita frenetiche,
piegata su un fianco.

Ma non è finita,
perché io continuo indefesso
a ravvivare il fuoco,
la giro e la rigiro
sullo spiedo,
ma la mia pietanza stenta ad arrivare.

Saran tuoni e fulmini?
Mentre seguito ad infilzarla,
Lei mi chiede delle mie clienti,
e per la precisione
di due giovincelle di bavarese nazione.

Dimmi cosa avresti fatto se...

Se fossi stato libero? Be'...

Be' mi dico, non ti ha chiesto cosa avresti fatto fossi stato una pecora.

Be' ripeto.

Sì, con loro due, da soli, al mare.

Ignoro i campanelli d'allarme
e le dico di quando, l'ultimo giorno,
quella più carina, sotto il sole,
si metteva lo smalto
sulle dita dei piedi piccolini.

E che, a un certo punto,
mentre l'altra è andata
a prendere qualcosa dalla macchina,
lei sollevava gli occhi dai vezzosi piedini
e li fissava nei miei torbidi,
sorridendo invitante come una piccola Marylin.

Allora ti dico cosa avrei fatto se...

Mi sarei avvicinato,
l'avrei baciata e accarezzata,
dopo un minuto avrebbe avuto in bocca
il mio uccello.

Quando l'amica,
quella meno carina,
e meno sorridente,
sarebbe tornata,
avremmo invitato anche lei alla festa,
vincendo un'iniziale reticenza.

E...

E Lei che continuava a toccarsi,
furiosamente
a questo punto ancora viene.

E io ancora al palo.

Allora intensifico gli ultimi sforzi
e quando sono sul più bello
Lei mi domanda:
allora dimmi, cosa le stai facendo?

Ma niente, rispondo,
penso a te.

E finalmente vengo.