Ma il mio indirizzo è "Via del sopracciglio destro"...
(F. De Gregori, Chissà dove sei, 1974)
La Signora si spazzola i pensieri mentre guarda dal balcone il mare vicino e il cielo lontano. Nessun vento nei capelli, neppure una brezzolina leggera, sincera. Non distingue l'orizzonte, il vapore acqueo unisce il mondo liquido di sopra con quello di sotto. L'aria è liquida, ma calda e appiccicosa. Come i pensieri della Signora.
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Lo Sconosciuto è un folle che sobbalza a ogni buca dello sterrato. Le stampelle incastrate nel sedile affianco, guida. Dal gambaletto di gesso sbrecciato fuoriescono ben più delle cinque dita regolamentari, metà piede si è ormai liberato. Pensa di essere diretto verso la libertà, sopporta il sopportabile, l'importante è non aver incontrato un blocco dei pulotti, sullo sterrato ormai è salvo.
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L'aria è ferma, cocente, impietosa, leggermente sapida. Anche il mare sotto è immobile, senza increspature. Una goccia di sudore discende dalla fronte della Signora, scivola sul collo, si fa rivolo trovando porto sicuro nell'ansa dei seni. Si sente umida anche tra le cosce, umida e scivolosa, le mutandine zuppe. Insinua una mano tra le pieghe del pareo, e sotto il tanga, a sentirsi dove più è liquida. La figa come l'anima. Un polpastrello l'avverte che è bagnata di dentro non meno che di fuori. Bagnata e incandescente. Dov'è tuo marito, Signora?
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Ha parcheggiato con rumore di ferraglia al limitare della macchia, di fronte allo stagno secco. Prima le stampelle fuori, poi con cautela lo Sconosciuto fuorisce dal catorcio, si issa in piedi e respira l'aria di mare, finalmente. Decide di evitare la scorciatoia che immette in spiaggia e sceglie di costeggiare lo stagno scomparso, dove la sabbia è più compatta. Alza lo sguardo sulla spiaggia, in quel tratto intrisa di turisti che si lasciano cuocere a fuoco lento dal sole giaguaro. Oltre gli ombrelloni variopinti cerca il mare, salvezza agognata. Non si stupisce della sua terrificante immobilità, né dell'indeterminatezza dell'orizzonte, celato da una cortina di vapori. Procede, a labbra serrate, verso il mare, aspirandone col naso l'effluvio salato. Lo considera balsamo fine.
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La Signora ha schiuso le labbra, morirebbe per un cubetto di ghiaccio tra le cosce, per una mano d'uomo che non chiede, prende. Si domanda se non sia il caso di masturbarsi, di prendersi il piacere e placare il fuoco che le brucia dentro. Il marito è assente, lo sarebbe anche se ci fosse: sarà a bordo piscina che ciuccia una bibita con la cannuccia, mentre con la coda dell'occhio sbircia i culi delle turiste e le tette delle cameriere, ma anche le tette delle turiste e i culi delle cameriere. Questo la Signora non lo sa, lo sente, come lo vedesse. Il mare sotto è una cartolina dalla Polinesia, decide di raggiungerlo, sarà il Mediterraneo ad accoglierla nel suo liquido abbraccio, placandone l'arsura.
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Raggiunta la battigia, lo Sconosciuto si avvia verso destra con passi d'airone fuor d'acqua, ogni passo avanti è uno strappo alla gamba resa più pesante dal gesso. Fatica sì, ma non c'è dolore, nessuna corona di spine sulla fronte imperlata, lui che è di legno di ginepro e non suda manco a morire. Non è neppure un santo a piedi nudi e se qualche bagnante distratto gli serra la strada volentieri gli darebbe di stampella. Ma il cammino è ancora lungo, e se vuole trovare la beatitudine nella solitudine deve procedere oltre il grumo di turisti che si affolla nel tratto dinnanzi al parcheggio. Tutti lì stanno, poi li senti che si lamentano che sembra Rimini. Basta serrare le labbra e andare avanti, non una stilla di splendore, una goccia di sudore, vada sprecata.
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Si lascia alle spalle il villaggio-vacanze-tutto-compreso la Signora, e la piscina, con annesso marito, che per oggi, ha dichiarato, non si muoverà di lì. Dice che è stanco, che passa tutto l'anno a laurà, a tirare la carretta, che ha bisogno di riposo. Il mare è fantastico, non un'increspatura a turbare il quadro idilliaco, se non quella nebbiolina in fondo. Solo che per raggiungerlo tocca fare lo slalom tra i bambini che fanno grandi e inutili buchi nella sabbia, e ombrelloni, sediette e lettini, schivando, se possibile, palloni da calcio e palline scagliate a 200 all'ora da fanatici muniti di racchettoni. L'acqua poi è una piccola delusione, l'avverte tiepida, sembra ristagnare: non manca il torsolo di mela che galleggia e un paio di bicchieri di plastica immobili a mezz'acqua. Quasi in riva l'acqua fa le bolle, e neppure un'ondina vaga. Troppa gente, sospira la signora, non è l'Eden selvaggio che si aspettava, giunge a pensare che quell'ammasso di umanità vociante, risplendente di creme solari sono forse le stesse persone anonime che incontra, solo un più vestite, al mercato, per strada o a lavoro, in-città. Vorrebbe uscire da quel magma, o la sua arsura non sarà placata. Si avvia verso sinistra la Signora in esplorazione, ormai decisa ad osare, le infradito fanno cic cioc quando pestano il velo d'acqua ferma.
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Passo dopo passo, con pazienza d'airone zoppo, la meta non sembra così lontana. Si è già molto diradata la calca iniziale, ma oltre le rocce in fondo sa che troverà il paradiso che cerca. Ora non c'è più nessuno che incrocia il suo incedere da evaso che si trascina una palla di ferro: il piede offeso, costretto nel gesso. Lo Sconosciuto scaccia pensieri che vengono dall'anima, sanno d'inferno in terra, lutto, amore incompito e dilaniato, spirito umiliato e solo, ma non vinto, secoli di immobilità imposta. Serra le labbra e procede ancora, fino al paradiso, oltre quelle ultime rocce rosse.
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Un canale largo una decina di metri le sbarra il cammino, sfociando in mare. Basta un fiumiciattolo a mandare a gambe all'aria i propositi bellicosi della Signora? In altre occasioni magari, ma quello è un giorno sognante, l'esplorazione continua, via dalla pazza folla, avanti con l'avventura in quella terra selvaggia. Imbocca il sentierino che costeggia il canale e in breve raggiunge il ponte di legno che porta all'altra riva. Guarda oltre e si avvede che non è un fiumiciattolo, ma un braccio di stagno che si getta in mare, stagno adibito a peschiera dagli aborigeni del luogo, gli autoctoni, conosciuti finora solo in camicia bianca da cameriere. Bei ragazzetti, qualcuno almeno, perché no, ma che accento buffo, tutto calcato sulle consonanti, pronunciate come fossero scoppi di petardo, scoppi ritardati. Cic cioc, la Signora calpesta qualche formicuzza e si imbeve del profumo dalla macchia. Da nord si è aperto uno spiraglio, la raggiunge qualche refolo inebriante, ma stento. Si sente ancora tra le cosce inebriata.
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Lo Sconosciuto è ormai nel suo angolo di Paradiso. Posa gli arti artificiali su una roccia di porfido a pochi metri dall'acqua. Si guarda ancora attorno, nessuno è più in vista. Alle sue spalle una collana di deliziose calette intervallate da rocce d'ogni forma, scolpite dalla natura (c'è anche chi la chiama Dio, ma secondo me è femmina). Di fronte a sé si allunga un tratto di sabbia bianchissima che brilla al sole, lambita mollemente dalla risacca. Il mare fa da estrema barriera alla natura selvaggia delle colline retrostanti, che appaiono riarse, esauste, ma solo pochi mesi fa erano un trionfo di colori, profumi e fiori. Disserra le labbra e schiude gli occhi al mondo, come stesse nascendo allora, come tutto fosse nuovo, creato in quell'istante l'increato. Si spoglia di tutto, tranne che del gambaletto che lo teneva prigioniero: gambaletto poi lo è diventato a furia di strapparne ostie fibbrose, in principio giungeva a mezza coscia. Lo sconosciuto annusa il mare a pieni polmoni, lo beve nelle sue trasparenze, sa che lo accoglierà come un figlio perduto. Si avvicina a tentoni, poggiando con cautela sul vello sabbioso il piede gessato, fino a inzupparlo a pelo d'acqua. Le dita costrette del folle fanno cic cioc.
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E cic cioc fanno le infradito della Signora, che ormai non ha più freni ed è decisa a seguire la direzione di quei refoli rinfrescanti, inebrianti. Porge loro il viso, il petto lievemente ansante, la figa che sente sempre più umida d'umori mescolati al sudore. Desidera. Cosa bene non lo sa, o forse lo sa fin troppo. Lungo la riva del mare non c'è più nessuno, come d'incanto. Il mare ora invita, ma gli resiste, si mette come obiettivo le prossime rocce, ma poi scopre una nuova caletta e va avanti. Finché di lontano scorge uno sconosciuto in riva al mare, che si muove in maniera bizzarra. E per di più sembrerebbe tutto nudo, in aggiunta ha una gamba che sembra molto più grossa dell'altra. Zoppica lo Sconosciuto fino all'asciugamano disteso, cava fuori dallo zainetto un paio di grosse forbici affilate. Ce ne sarebbe abbastanza per fare marcia indietro, cara Signora.
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Lo Sconosciuto degna di uno sguardo il piede appena liberato, il cui pallore contrasta con la tonalità ambrata del resto del suo corpo. Ora è davvero completamente a nudo, in mano un grosso joint di canapa che aspira con discreta voluttà. Non ripensa a nulla: in quel posto, in quel momento non esiste ne passato né futuro, solo quell'istante. Quella scintilla di Tempo con la maiuscola. L'eternità in un attimo, chi l'ha provata sa cosa voglio dire. E' sul limine tra i due universi, tra terra e acqua, che si guarda attorno con lentezza e studio, socchiudendo un po' gli occhi mentre guarda verso sud, dove sfumano i contorni, le lunghe ciglia nere a proteggere gli occhi da bandito dai riflessi del solleone. Scorge ora la turista solitaria, ancora distante, che ancheggiando procede nella sua direzione. Per reazione si morde lievemente un labbro, ma decide di fregarsene, non andrà a rivestirsi in ossequio alla comune decenza, sarà semmai il mare a coprire la sua eresia, a proteggere lo Sconosciuto temerario e orgoglioso.
Avvertenza: ciò che ho rappresentato finora sul mio blog è stato narrato in prima persona, il che significa che gli accadementi erano tratti dalla realtà della vita mia. Nuda e pura: giacché tutto è puro per i puri. E' l'aspetto che ho sempre prediletto in questo contesto. Qua siamo invece alla terza persona, chi legge ne tenga conto.
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Ha un attimo di titubanza la Signora, ma è il basso ventre con i suoi fremiti a dettarle la strada. Si cautela contro l'impeto dei sensi, rallentando il passo, chinandosi a cogliere qualche ormai rara conchiglietta. Per darsi un tono: è una Signora. Ormai a poche decine di metri, cinquanta forse, non di più, osserva i movimenti dello Sconosciuto che entra in mare con lentezza, sinuoso con zoppìo. Lo trova molto bello, in quella gloria di natura da sfinimento non fa contrasto. Un sospiro la sorprende come un refolo improvviso tra i capelli, l'aria salsa discende impetuosa nei polmoni, con pienezza nutre ogni suoi tessuto, ridona vigore, infonde strano coraggio, finora mai provato. O è la follia contagiosa dello Sconosciuto?
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Lui solleva un sopracciglio, quello sinistro, la scruta mentre lei finge di interessarsi a quelle minuscole conchigliette. (Lasciatele stare, sono gli ultimi doni di un mare impoverito, e sono per tutti). Soppesa la donna in arrivo, ne intuisce il respiro più intimo, la sua umida natura. Solo per un istante, è più che abbastanza. Si rivolta verso la gran distesa d'acqua, riempe d'aria i polmoni, sentendo con piacere il dilatarsi del torace, fa un passo ancora, l'acqua è ormai alle ginocchia. Poi il balzo feroce, disumano, che strappa anche il piede pallido e offeso dal fondo del mare. Questa cosa è ancora dolorosa, ma dura un momento solo, non è niente in confronto al patimento che ha dovuto subire. Ora l'abbandono ha un senso, tutto in quel tuffo con cui si immerge totalmente nell'elemento liquido. Ciao ciao dolore: l'acqua che lo avvolge lava via ogni umiliazione patita, dona la leggerezza perduta ad ogni membra. Lo Sconosciuto riemerge dopo pochi metri, un altro respiro e un nuovo tuffo ancora. E poi ancora uno, e poi un altro, a polmoni pieni. Si sente pesce. Con l'acqua al mento, la bocca fuori (in the while crocodile), si volta verso la spiaggia e la vede ferma di fronte a lui, la Signora, con in mano una presa di conchigliette, il cuore in tumulto, ansante, dannatamente tentato. E non solo quello.
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Con lentezza lo Sconosciuto si avvia ad uscire. Si sente nuovo, ma è solo una piacevolissima sensazione, è quanto basta. La Signora, immobile sulla riva come una vittima sacrificale, lo aspetta con la bocca socchiusa, non gli stacca gli occhi di dosso, ha perduto ogni ritegno? O pensa di ritrovarsi nel giardino dell'Eden, dove tutto è permesso? O quasi.
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Baciato dal sole, lo Sconosciuto si ferma davanti a lei, sgocciolante: il maggior rivolo è quello che sceglie la via della virilità per tornare al mare. La Signora ha ancora la bocca semiaperta, trae quell'ossigeno che le fa sobbalzare lievemente i seni tumidi. O sarà il cuore, in qualche punto là sotto. Lui si aspetta che possa parlare, dire qualcosa che spezzi l'incantamento. Così sporge le labbra, quelle labbra rosa e viola, ma non è un invito a scoccare baci, un vezzo da seduttore. Poggia invece l'indice sollevato sulle labbra, fino a toccarsi la punta del naso. Gli occhi hanno un guizzo da predone gentile.
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Gli occhi della Signora trovano ristoro, calano rapaci sul membro grondante dello Sconosciuto e non si staccano di lì. Manco fosse il piffero magico. Lui anticipa i pensieri di lei, prendendole una mano, la guida ad appropriarsi del suo fallo: percorso da un fremito al contatto, si innalza in gloria di un dio ebbro, in piena e immediata erezione. La cappella, rossa, accesa, è puntata verso il cielo come un monito: sono ancora qui, non mi spezzo mai, non mi piegherete mai. Ciò che conta è solo il qui e ora.
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Guidata dal cazzo stretto in mano, come presa all'amo la Signora segue lo Sconosciuto, che camminando a ritroso, la conduce dove l'acqua è più alta, fino a quando sono solo le teste ad emergere. Tutto accade sotto il livello dell'azzurro più intenso. Le gambe di lei cingono i fianchi di lui, il costumino scostato di lato permette al cazzo risoluto di sprofondare interamente, riempedola a fondo, come non mai. I movimenti sono al principio dolci, ritmati dallo stesso movimento del mare. Poi un bacio di lingue salate, assetate, suggella una più completa compenetrazione dei corpi. Lo Sconosciuto sente la lingua di lei farsi gelata all'improvviso, come se la linfa vitale si concentrasse ormai in unico punto. Allora aumenta la cadenza dei colpi in quell'unica direzione, cioc cioc, mentre con le mani rapaci sui fianchi la tiene avvinta a sé, cic cioc, cic cioc, finché non raggiunge un ritmo indiavolato, quasi insostenibile. Ma ogni colpo inferto è accolto come una benedizione. Non dura molto, l'orgasmo li squassa uno dopo l'altra, mentre lei morde a sangue il collo dello Sconosciuto. Poi esausti si staccano, fianco a fianco, senza più toccarsi raggiungono la riva, toccano terra.
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E' giunto l'attimo della consapevolezza per la Signora, era ora. Senza rimorso si accorge che il sole è ormai alto, e soprattutto che ha un marito che forse non è più a bordo piscina, ma la sta cercando, si domanda dove si sia cacciata, non la trova. Lo Sconosciuto abbozza un mezzo sorriso avvertito, mentre lei per tutta risposta allunga ancora una volta la mano a riprendersi quell'uccello d'uomo, forse per un saluto, una subitanea nostalgia, chissà. Il sorriso di lui è ora un bagliore completo, blocca al polso la signora, allontanando la mano predatoria. Stupore sul viso di lei, che domanda senza parole: Tu, chi sei? Ti ritroverò? Parla lui, lo Sconosciuto: Nei prossimi millenni potrai ritrovarmi ancora qui. Forse.
*****
Giulio Romano, quasi 3.000 anni più tardi,
rappresenta l'immane disastro della stirpe di giganti
negli affreschi di palazzo Te, a Mantova.
Perché queste cose sono sempre.
E io sono ancora qua.
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Avvertenza: ciò che ho rappresentato finora sul mio blog è stato narrato in prima persona, il che significa che gli accadementi erano tratti dalla realtà della vita mia. Nuda e pura: giacché tutto è puro per i puri. E' l'aspetto che ho sempre prediletto in questo contesto. Qua siamo invece alla terza persona, chi legge ne tenga conto.