venerdì 27 agosto 2010

Pisellino

... per tutti quelli che hanno gli occhi
e un cuore che non basta agli occhi ...




C'è stato un tempo in cui
la spada era ancora un coltellino.
Un cosino grande su per giù
come un accendino.

Ma già pretendeva attenzione
e poi ci si poteva giocare,
anche se mi facevano capire
che ci voleva discrezione.

Il gioco era scoprirlo,
tirando in giù la pelle
fino a farne venir fuori
una rosea ciliegiotta.

Se la rideva mia madre
allo strano gioco di prestigio,
ma subito redarguiva
che non dovevo stare sempre
a toccarmi il pisellino.

In pubblico soprattutto.

Così lo chiamava lei,
pisellino,
o anche uccellino.

Era dunque un rapporto intimo
quello che dovevo avere
con quel piccolo giochetto
che non chiamavo pisellino.

Mi piaceva molto di più uccellino.

Che forse pensassi al divenire?
Perché era piccolo sì,
come un cardellino,
ma in cielo se ne vedevano
di ben più grandi,
volare con ali spiegate.

Pisellino no.
Quei baccelli più di tanto non crescono.
Non s'è mai visto in natura
un pisello diventar fava.

Però continuavo a toccarlo
e c'erano gli amici di strada
per confrontarlo.
Sfogliavamo i giornaletti
con le pagine attaccate,
strana colla di fratelli maggiori
a cui li rubavamo.

Ma era il piacere del probito
vedere le donne nude,
che nude si aprivano a maschi pelosi
armati di possenti mazze.

Era il piacere del mistero,
un mistero dei grandi,
perché di quelle cose
ne parlavamo a lungo tutti insieme,
e qualcuno faceva pure il saputello,
ma sempre niente ne sapevamo.

E le bambine, le femmine,
erano mostri con la lingua biforcuta.
Lingue che potevano far male,
spigliate e già velenosette.

Maschietti e femminucce.
Noi da una parte,
loro dall'altra.


Sei, sette, otto.
Nove, dieci, undici.
Dodici e tredici.

E' un ritmo rallentato,
ma gli anni passano,
vagoni di un treno lungo chissà quanto,
che dove porta non si sa.

Crescono peli in posti strani,
delicati come piume,
mentre le ossa si allungano
e la voce si fa più profonda.

Le mie mani di giunco
cercavano sempre là sotto,
e mano a mano
lo trovavano più grosso,
scoprendo il ciliegiotto.

Il pisellino non era più lui.

S'era slanciato anche lui,
oltre che ingrossato.

E a volte se ne stava
come un ramo dritto e duro,
anche quando non c'era proprio motivo.

Richiedeva carezze più prolungate
su quella pelle tesa.

Fu un giorno di chissà che mese,
e non ricordo neanche l'anno,
ma che sì, ero nella vasca, a fare il bagno,
e che ero alle prese con il gioco preferito.

In mezzo a troppa schiuma
si stava verificando l'evento.

Senza neanche pensarlo o immaginarlo.

Lo serravo in mano e andavo
dolcemente su e giù,
con la schiuma che faceva sciù sciù.

Ma c'era qualcosa di nuovo e di diverso.
Sembrava fosse diventato incandescente
e che gradisse un movimento più rapido.
Che la mano si muovesse sempre più velocemente.
Autonoma e senza più controllo,
fino a diventare frenetica.

Fino a stravolgermi.

Come l'eruzione di un vulcano
è arrivato il piacere della prima volta.

Che felicità mi aveva preso.
Ah è questo allora mi dicevo. Ma che bello.

E tutta quella roba bianca viscosa.
Quanta. Stava lì dentro da chissà quanto.

Bianca lava vulcanica.
La colla dei giornaletti.

A quell'età il sangue gira a mille,
la curiosità è tanta,
o forse già ero vizioso incontinente.

Sono corso in camera
e mi sono rinchiuso dentro.
Volevo vedere se era possibile rifare
subito, se era sempre carico il cannone.

E da allora... perfino a scuola,
due tre volte ogni mattina
a chiedere alla prof di andare in bagno.

Le ragazzine,
con quelle strane protuberanze
appena accennate sotto i maglioncini
di lana morbida,
iniziavo a guardarle con occhi diversi,
sempre selvaggi ma con scintille di desiderio.

Quante ce ne siamo immaginate insieme,
le ragazzine e le prof,
la mamma procace di un compagno
e le carezze della vicina...

Che occhiaie mi facevi venire,
caro pisellino
che non eri più tale.

Quante volte mi hai dato piacere,
uccellino insaziabile,
se dopo averti strizzato
fino all'ultima goccia,
chiedevi ancora una volta
un'atto d'amore.

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